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letti umani, di tua vittoria; cioè della vittoria, che ebbe lo Verbo Incarnato contra lo dimonio, che lo sconfìsse in sul legno de la croce, e tolseli la preda de’ santi Padri, che avea imprigionati nel limbo. E fatto l’orazione, ritorna a parlare della materia sua, dicendo: Io; cioè Dante, credo, per l’acume; cioè per la sottigliezza et eccellenzia, ch’io soffersi Del vivo raggio; cioè che usciva de la Divinità, ch’io; cioè lo quale io Dante, saria smarrito; cioè sarei uscito di me, Se li occhi miei; secondo la lettera, corporali; secondo l’allegoria, la ragione e lo intelletto di me Dante, da lui; cioè al detto raggio, fusser aversi; cioè si fusseno partiti e cessati da esso. Lo contrario opera la luce divina a quello che opera la luce del mondo: la luce del mondo, quando avanza la potenzia sensitiva, corrompe lo senso; ma la luce divina, quanto più cresce nell’anima umana, tanto più cresce lo cognoscimento e lo diletto: e diventa l’anima umana più utile 1 a contemplare Iddio, quanto più 2 vi sta e quanto più v’entra. Ei mi ricorda; cioè e’ ricorda a me Dante, ch’io; cioè che io Dante, fui più ardito Per questo; cioè, perch’io avea sofferto l’acume della divina luce, io fui più ardito, a sostener; cioè essa luce divina, ch’io non sarei stato, tanto ch’io iunsi L’aspetto mio; cioè lo vedere di me Dante, col valore infinito; cioè co la Divinità, che è valore senza fine. Ciascuna santa anima, che contempla Iddio, adiunge a Dio, secondo la sua facultà del comprendere: imperò che ogni cosa, che cognosce, cognosce secondo la sua facultà, e non secondo la facultà de la cosa cogniusciuta; e però Iddio, secondo sè, è incomprensibile; ma ciascuna mente ne cognosce tanto quanto può, sicch’ella rimane contenta. E questo volse dire l’autore ne le precedenti parole.
C. XXXIII — v. 82-99 In questi sei ternari lo nostro autore finge come elli, vedendosi tanto inalzato, esclamò a Dio; e com’elli dopo questo vidde in Dio ciò che è nel mondo, dicendo ancora quello che non potè vedere. Dice così: O abundante grazia; quasi dica: O quanto è abondante la grazia d’Iddio a chi la dimanda, ond’io; cioè per la quale io Dante, presunsi; cioè presi ardire, Ficcar lo viso; cioè mio di me Dante, cioè lo intelletto mio, Per la luce eterna; cioè per la Divinità, Tanto, che la veduta; cioè la vista mia intellettuale, s’intende secondo l’allegoria, vi consunsi; cioè vi consummai in essa imperò che tanto n’appresi, quanto era licito a me, e quanto era la facultà del mio cognoscimento! Nel suo profondo; ecco che dice com’elli vidde ne la profundità de la Divinità, cioè nell’altezza d’Iddio, viddi; cioè io Dante, che s’interna; cioè lo quale profondo è Trinità, cioè tre persone in una sustanzia, Padre,