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[v. 67-81] | c o m m e n t o | 863 |
nell’antro, dove era lo spirito che li dava a sapere le future cose; e quando era dimandata, dava le risposte in versi e scriveva li versi in su le follie de la palma, in ciascuna uno verso, e poneale in su l’uscio de l’antro, ordinatamente l’una dopo l’altra; e come a li usci sempre venteggia, venia lo vento e dava ne le follie e spargevale qua e là, e così si perdea la sentenzia di quelli versi, perchè non era nessuno che li sapesse recare ne l’ordine ch’ella li avea posti, e così si partiano senza risposta. E però Eleno consigliò Enea che la pregasse ch’ella li desse risposto 1 con voce e non con versi, e così fece; e però facendo similitudine l’autore, dice: Così al vento; ciò che facea l’antro di Sibilla, ne le follie levi; cioè de la palma, che erano poste in su l’uscio et eranovi scritti li versi, e perchè erano leggeri lo vento le facea volare, e turbavasi l’ordine de’ versi, sicchè non si potevano intendere poi, e però dice: Si perdea la sentenzia di Sibilla; come si perdeva in me la mia visione. Di queste Sibille è stato detto di sopra in altro luogo, e però qui non replico; e però chi ne vuole sapere, cerchi a drieto quine, dove si tratta ciò, nel canto de la prima cantica. Seguita.
C. XXXIII— v. 67-81. In questi cinque ternari lo nostro autore finge com’elli fece orazione a Dio, e pregollo che alquanto li prestasse di poter dire di lui; e come ebbe grazia di potere ragguardare nel raggio divino, dicendo così: O somma luce; cioè o Iddio, che se’ somma luce sopra tutte le luci, che tanto ti levi; cioè la quale luce tanto levi te in alto, Da’ concetti mortali; cioè da’ pensieri delli omini che sono mortali, che nessuno può adiungere col suo pensieri a te, a la mia mente; cioè a la mia memoria, Ripresta; cioè un’altra volta presta e concede, cioè a vale, che l’òne a scrivere come mel prestasti, quando addimandai, un poco; cioè alcuna particella, non tutto, di quel che parevi; cioè di quello che parevi a me, quando ti viddi, E fa la lingua mia; cioè tu, Iddio, fa la mia lingua di me Dante, tanto possente; cioè ch’ella possa tanto, Ch’una favilla; cioè alcuna particella: come la favilla è piccola parte del fuoco; così una piccola notizia de la tua grandissima e smisurata luce, sol; cioè solamente, de la tua gloria; cioè della tua beatitutudine, Possa lassare; cioè io Dante, a la futura gente; cioè a la gente che debbe venire, che leggerà questa mia comedia. Chè; cioè: imperò che, per tornar alquanto a mia memoria; cioè se io tornerò un poco a la memoria di quello, che io viddi della tua gloria, E per sonar un poco; cioè per cantare colle mie parole, in questi versi; cioè in questi miei versetti, che sono in questi ternari, Più si conceperà di tua vittoria; cioè più s’intenderà da’ lettori e da l’intel-
- ↑ Risposto, risposta, come dimando, dimanda. E.