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prese della Divinità, e finge che uno punto li è dimenticato, et incominciasi quine: O abundante grazia ec.; nella quarta parte si scusa che ’l suo parlare conviene oggimai essere corto: imperò che non si può dire da lui quello che vidde, et incominciasi quine: A quella luce cotal ec.; nella quinta parte finge com’elli vedesse ne la Divinità la Trinità delle persone e l’umanità di Cristo, et incominciasi quine: Ne la profonda e chiara ec.; nella sesta et ultima parte finge com’ellì volea vedere come l’umanità si congiungea co la Divinità; ma non fu di tanta potenzia, e pone fine al suo poema, et incominciasi quine: Qual è ’l geometra ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co la esposizione letterale, allegorica e morale.
C. XXXIII — v. 55-66. In questi quattro ternari l’autore si scusa al lettore ch’elli non potrò tanto dire quanto elli vidde, e fa due similitudini, dicendo così: Da quinci innanzi; cioè da questo punto, ch’i’ò detto in là, il mio veder; cioè lo vedere di me Dante, fu maggio; cioè fu maggiore, Che ’l parlar mostri; cioè che ’l parlare mio possa mostrare, ch’a tal vista cede; cioè lo quale parlare dà luogo a tal vedere, E cede la memoria; cioè e dà luogo la memoria mia: imperò che non si ricorda, a tanto oltraggio; cioè a tanto soperchio. Et adduce una similitudine, dicendo: Qual è colui; cioè alcuno omo, che; cioè lo quale, sognando vede; cioè alcuna cosa, Che; cioè per sì fatto modo, dopo ’l sogno; cioè ch’elli àe fatto, la passione impressa; cioè la paura, o l’allegrezza, o lo dolore messo nella sua fantasia, Rimane; cioè impressa nella fantasia, et altro non riede alla mente; se non quella passione, nulla altra cosa torna a la memoria, Cotal son io; cioè io Dante sono sì fatto, come colui che sogna. chè; cioè imperò che, quasi tutta cessa Mia visione: imperò che di quella a pena mi ricorda 1, se non d’alcuna piccola particella, et ancor mi distilla Nel cuor; cioè mi viene nel cuore, il dolce; cioè la dolcezza e lo diletto, che nacque da essa; cioè dalla detta visione: che differenzia sia tra le cinque spezie de’ sogni altro’ è stato detto, e quine apparrebbe perchè l’autore chiama questa visione. Così la nieve; ecco che arreca un’altra similitudine, dicendo che Cosi la nieve al Sol; cioè a lo caldo del Sole, si dissigilla; cioè si disfà, come si disfece la mia visione, Cosi al vento; ecco che arreca un’altra similitudine, che pone Virgilio nel v de la sua Eneida, fingendo che ’l re Eleno troiano dicesse ad Enea ch’elli troverebbe in Italia una donna nel tempio d’Apolline, che si chiamava Sibilla, che dava risposta delle future cose, e chiamavasi Sibilla cumana, perchè era presso a la città chiamata Cume e stava
- ↑ Mi ricorda. Pongano l’intelletto i giovani alla vaghezza di certe maniere ellittiche. La memoria o la mente mi ricorda. E.