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[v. 49-60] | c o m m e n t o | 839 |
gere lo bene e lasciare lo male. Ben te ne puoi; cioè tu, Dante, accorger; cioè avvedere, per li volti; cioè loro, che sono puerili, Et ancor per le voci puerili; cioè che ànno le voci fanciullesche, Se tu; cioè Dante, ragguardi bene; cioè li lor volti, e se li ascolti; cioè li detti fanciulli, quando cantano le lode d’Iddio: imperò che in vita eterna li beati sempre cantano le lode d’Iddio.
C. XXXII — v. 49-60. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che santo Bernardo movesse uno dubbio a lui, lo quale cognobbe essere ne la sua mente, per solverlo poi; cioè: Se queste sedie sono date ai beati parvuli casualmente, o per iuste cagioni. Et a questo risponde prima generalmente, e poi rende de la risposta ne la sequente parte la ragione. Dice prima così: Or; cioè avale, dubbi; cioè ài dubbio, tu; cioè Dante, e dubitando sili; cioè et avendo dubitazione, ti stai cheto e non dimandi. Ma io; cioè Bernardo, ti solverò; cioè a te Dante, forte legame; cioè questo forte dubbio che tiene occupata la tua mente, siccome lo legame tiene lo corpo, In che; cioè nel quale legame, ti stringon; cioè stringono te Dante, li pensier sottili; li quali tu ài intorno a questo ordine: imperò che tu dubiti: Questi luoghi sono dati ai beati parvuli per cagione 1, o per ragione? Et io ti dico che sono dati per cagioni iustissime; et ecco la ragione, per che. Dentro all’ampiezza di questo reame; cioè dentro al regno d’Iddio, Casual punto; cioè punto, che vegna da caso; et è caso evenimento non pensato per insieme scorrenti 2 cagioni in quelle cose, che si fanno per alcuna altra cagione; o vero, caso è cagione per accidente di cose, che avvegnano rade volte in quelle cose che per altra causa 2 si fanno; o vero, caso si dice, perchè viene senza cagione, e secondo questo modo ultimo parla santo Bernardo; et è differenzia tra caso e fortuna: imperò che caso è generale, che è in tutte le cose; e fortuna è ine’ fatti de li omini tanto; e perchè caso, pigliandolo a quello terzo ultimo modo, pare escludere la Divina Providenzia, però dice l’autore che nel regno della Divina Providenzia, non può aver sito; cioè non può aver luogo casual punto, preso caso al terzo modo, Se non come tristizia, sete, o fame; queste tre cose significano imperfezione, e nel paradiso ogni cosa è perfetta: tristizia è privamento di letizia che è bene perfetto dell’anima, dunqua non può essere in paradiso dov’è perfetto bene: sete è indigenzia di bere, e fame è indigenzia di mangiare, et in paradiso nulla indigenzia vi può essere, anco v’è ogni sufficienzia e perfezione. Chè; cioè imperò che, per eterna legge; cioè per la legge divina, che è iustissima 3, che mai non ebbe prin-