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[v. 70-81] | c o m m e n t o | 793 |
fiume, et esceno del detto fiume, e vanno in su li fiori che sono in su le ripe; li quali fiori sono li omini operatori dell’opere che sono virtuose, e di quinde, cioè da li omini santi, ritornano nel detto fiume, e ’l rider; cioè lo piacere, dell’erbe; che sono in su le ripe dette di sopra, Son di lor vere; cioè dalla loro primavera, cioè dalla loro beatitudine, che aspettano d’avere le dette anime: vere è vocabulo di Grammatica 1, che viene a dire primavera; e perchè la primavera è tempo dilettevile, però è assimiliata la beatitudine a la primavera, unde dice Ovidio nel p.° de la sua Metam: Ver erat ec.-, umbriferi prefazi; cioè dimostramene rapportanti ombra; dice: umbriferi prefazi: l’ombre delli arbori sono dilettevili, e però significa annunziamenti di diletto. E perchè per le parole dette parrebbe che quine fusse mancamento di beatitudine: imperò che dice che questo era annunzio de la beatitudine, parrebbe che in cielo fusse stato mancamento, però per tolliere lo dubbio, dice: Non che da sè; cioè io non dico questo, perchè da sè, cioè per sua natura, sian queste cose acerbe; cioè difettuose come sono le cose acerbe, che non sono venute a maturità, nè a sua perfezione; ma è lo contrario, cioè che queste cose da sè sono perfette. Ma è difetto della parte tua; cioè di te Dante, che apprendi le cose del cielo, come quelle che sono in terra, e rappresenti a te lo stato de’ beati, come tu comprendi nel mondo essere quelli che sono in santa vita, e vivono come cittadini di vita eterna, benchè siano ancora militanti, Che; cioè lo quale, non ài viste; cioè li occhi atti a vedere, tanto superbe; cioè tanto alte, che possino 2 comprendere lo stato de’ beati; e però ti rappresenta ora questo cielo, secondo la tua figurazione, lo modo di quelli che sono nel mondo in stato di grazia, de’ quali è stato detto di sopra. Seguita la seconda lezione di questo canto, che è lo xxx, e finisce la prima.
Non è fantin, ec. Questa è la seconda lezione del canto xxx, nella quale lo nostro autore finge come Beatrice li dichiarò alquante cose di quelle del paradiso; e come li mostrò la sedia dello imperadore Arrigo, conte di Lusimborgo. E dividesi tutta in sei parti: imperò che prima finge com’elli, diventato desideroso di bere de l’acqua che li avea detto Beatrice, chinò li occhi al fiume e bagnòli de l’acqua del detto fiume, et ebbe vista via più perfetta che prima, e cognobbe che era lo fiume, et in che forma, e le faville e li fiori; nella seconda parte finge com’elli vidde la corte di paradiso e fa invocazione a la grazia d’Iddio che lo illumini, sicch’el possa