73Ma di quest’ acqua convien che tu bei,
Prima che tanta sete in te si sazi.
Così mi disse ’l Sol delli occhi miei.
76Anco soiunse: il fiume e li topazi,1
Ch’entrano et esceno, e ’l rider dell’erbe
Son di lor vere umbriferi prefazi.2
79Non che da sè sian queste cose acerbe;
Ma è difetto della parte tua,
Che non ài viste ancor tanto superbe.
82Non è fantin, che sì subito rua
Col volto verso il latte, se si svelli
Molto tardato da l’usanza sua;3
85Come fec’io, per far far millior spelli4
Ancor delli occhi, chinandomi all’onda,
Che si deriva, perchè vi s’immelli.
88E siccome di lei bevè la gronda5
De le palpebre mie; così mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda.
91Poi, come gente stata sotto larve,
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua, in che disparve;
94Così mi si cambiaro in maggior feste
Li fiori e le faville, sicch’io vidi
Ambo le Corti del Ciel manifeste.
97O splendore d’Iddio, per cui io vidi
L’alto triunfo del regno verace,
Dammi virtù a dir com’io ’l vidi.
- ↑ v. 76. Anche soggiunse: I fiori e li
- ↑ v. 78. C. A. veri ubiferi
- ↑ v. 84. C. A. tardando dall’
- ↑ v. 85. C. M. C. A. per far migliori spegli
- ↑ v. 88. Gronda, figuratamente estremità delle palpebre, gronda e tetto degli occhi. E.