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[v. 127-138] | c o m m e n t o | 67 |
la varietà dei corpi celesti c delle loro qualitadi, Sì; cioè per sì fatto modo riguarda, che poi; cioè possa tu, Dante, sappi sol; cioè per te medesimo, tener lo guado; cioè lo passo sicuro per li dubbiosi pensamenti, che possano nascere intorno a la presente materia: imperò che, posto l’antecedente, seguita ogni dubbio dichiarato; cioè che Iddio è cagione prima di tutte le cose create mediata 1 o immediata de’ loro accidenti; cioè solo o facente occorrere altre cagioni al suo operare: guado propriamente è lo passo sicuro del fiume lo quale s’appiatta sotto l’acqua, e così la verità nascosa sotto alcuno velame degnamente si può chiamare guado.
C. II — v. 127-138. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che Beatrice, continuando la sua ragione incominciata di sopra, adiungesse a la maggiore proposizione posta di sopra, che è questa: Li cieli col suo movimento cagionato dalle intelligenzie superiori acquistano diverse virtù e cagionano diversi effetti e diversi accidenti in loro e nelle cose inferiori, come è dimostrato nella parte detta di sopra. Ora seguita la minore; cioè e lo loro movimento e la virtù infusa in esso è cagionata dai suoi motori, e li suoi motori sono mossi da Dio, e la virtù che infundeno nei corpi celesti è infusa in loro da Dio; dunqua Iddio è prima e somma cagione di tutti li effetti et accidenti che sono ne’ cieli. E benchè io abbia posto qui la conclusione, l’autore nostro la pone più giuso nella fine del canto; cioè una conclusione che nasce da questa che solve lo dubbio posto di sopra, come apparrà nel testo. Ora pone la minore, induccndo a parlare Beatrice, come l’à introdutta infino a qui, dicendo così: Lo moto; cioè del primo mobile e delli altri cieli, e la virtù, cioè la potenzia de l’operare e cagionare li effetti e li accidenti diversi, dei santi giri; cioè dei corpi celesti che sono santi, che girano continuamente, e con quel girare acquistano virtù e potenzia d’operare e cagionare, e cagionano et operano, Come dal fabbro; ecco che per similitudine dimostra come si debbia intendere l’operare dei cieli; cioè come l’operare del martello che mena colla sua mano lo fabbro e fabbrica con esso diversi istrumenti, come dimanda la ragione dell’arte; nel quale fabbricare lo fabbro è lo agente; ma lo martello è lo istrumento: e così nelle operazioni dei cieli li cieli sono lo istrumento, e l’agente sono li motori, l’arte del martello; spira 2, s’intende, l’arte del martello, cioè l’arte che lo fabbro esercita col martello, così convien che spiri; cioè che esca fuora, Da’ beati motor; cioè da li angioli beati che sono motori dei cieli, come dal fabbro l’arte del martello. E che questo sia vero lo dimostra per lo cielo stellifero che è l’ottava spera, dicendo cosi: