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[v. 103-114] | c o m m e n t o | 699 |
avviene che in molti animali per sì fatto modo sono dentro, che tosto mostrano l’affetto che è dentro, perchè la voluntà la seguita. E similmente; cioè come fa alcuna volta uno animale, che à si ardente desiderio d’entro che lo mostra di fuora, così l’anima primaia; cioè l’anima d’Adam, che fu la prima che Iddio creasse mai, Mi facea trasparer; cioè dentro vedere e di là, per la coverta; cioè del lume, in che ella era fasciata, Quant’ella; cioè quanto essa anima d’Adam, venia gaia; cioè allegra, a compiacermi; cioè a compiacere a me Dante, che gli aveva parlato e pregato che sodisfacesse a la mia voglia.
C. XXVI — v. 103-114. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Adam, che era secondo l’anima in quella luce quarta che era venuta, li rispuose manifestandoli la sua voglia, cioè di Dante; e però dice così: Indi; cioè di poi che m’ebbe mostrato lo suo affetto, spirò; cioè misse fuora voce, dicendo a me Dante: Senza essermi proferta; cioè benchè a me non sia proferta 1, Dante; ecco che finge l’autore che Adam lo nominasse Dante, che era lo suo nome proprio: imperò che Adam fu di tanta sapienzia, che a tutte le cose puose nome, secondo la loro proprietà; e però finge l’autore che Adam in questo luogo lo nominasse, per mostrare che questo nome li fusse posto per proprietà, che era in lui di dare buona dottrina e buono esemplo della vita sua; e di questa nominazione fece menzione nella seconda cantica, quando indusse Beatrice a parlare nel canto xxx, dicendo: Dante, perchè Virgilio se ne vada, Non pianger anco, non pianger ancora: Chè pianger ti convien per altra spada, e poi più giù: Quando mi volsi al suon del nome mio, Che di necessità qui si rigistra; ma in questo luogo non si rigistra per necessità; ma per mostrare che questo nome li fusse conveniente, secondo proprietà, poi che così lo chiamò colui che pose nome a tutte le cose, secondo la loro proprietà, la voglia tua; cioè di te Dante, discerno mellio; cioè cognosco meglio 2, Che tu qualunche cosa t’è più certa; cioè più che non discerni tu, Dante, qualunca cosa è più certa a te. Et assegna la cagione; cioè: Perch’io; cioè imperò che io Adam, la veggio; cioè la voluntà tua, nel verace spellio; cioè nel vero specchio, cioè in Dio, nel quale ogni cosa risplende, Che; cioè lo quale specchio, fa di sè parellio; cioè di sè medesimo fa ricettaculo, all’altre cose; cioè a tutte le cose che sono, che tutte si vedono in lui, E nulla face lui; cioè Iddio, parellio; cioè ricettaculo, di sè. Come la luce dell’occhio che si chiama pupilla fa parellio di sè a le cose che l’occhio vede, perch’ella riceve le figure in sè, e la cosa veduta non fa la luce parellio di sè, come la luce fa parellio di sè a la cosa che si vede; e questo dice l’autore, perchè