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[v. 55-66] | c o m m e n t o | 695 |
ecco l’altra cagione: La morte; cioè di Cristo, ch’ei sostenne; cioè la quale elli sostenne, per ch’io viva; cioè per dare a me Dante vita eterna, E quel che spera ogni fedel, com’io; cioè la beatitudine celeste, la quale spera d’avere ogni fedele cristiano, come sono io Dante, Co la predetta cognoscenzia viva; cioè insieme tutte le dette cagioni col cognoscimento insieme, che io òne da’ Filosofi e da l’autoritadi de la santa Scrittura, Tratto m’ànno; cioè ànno tratto me Dante, del mar de l’amor torto; cioè de l’amaritudine del falso amore, lo quale è de le cose mondane che sono piene di grande amaritudine, et è falso amore: però che non viva con quel modo, che si debbe, E del diritto; cioè amore, m’àn posto a la riva; cioè ànno posto me Dante le predette cose a la riva del diritto amore. Le quali cagioni sono queste; cioè l’essere del mondo, che è con tanto ordine e così bello; l’esser de l’omo, che è una grande et ammirabile cosa. E come può essere che chi considera queste cose esser fatte da Dio, non ami Iddio creatore e governatore del mondo e di sè, sopra ogni altra cosa? Appresso, la morte ch’elli sostenne per ricompramento de l’umana generazione col suo prezioso sangue; et a l’ultimo, lo bene eterno nel quale ogni fedele cristiano spera. Et ora conchiude, unde li vegna l’amore dei santi, dicendo che li santi sono amati da lui per l’amore d’Iddio, in quanto l’omo comprende che sono amati da Dio. Le frondi; cioè li santi beati, che sono in vita eterna, onde; cioè de le quali fronde, s’infronda; cioè s’adorna, tutto l’orto Dell’ortolano eterno; cioè vita eterna, che è l’orto di Cristo, che è ortolano eterno, senza principio, mezzo, o vero fine 1 di tale orto, cioè di vita eterna, amo io; cioè Dante, cotanto, Quanto da lui a lor di bene è porto; cioè tanto amo li santi quanto io veggio che ricevano de la grazia d’Iddio, e che Iddio porga loro della sua grazia. E qui finisce la prima lezione del canto xxvi. Seguita la seconda.
Siccom’io tacqui, ec. Questa è la seconda lezione del canto xxvi, nel quale lo nostro autore finge come tutto lo cielo, finita la sua orazione, o vero diciaria, risonò con canto dolcissimo, e come a lui venne lo quarto lume, che finge che fusse Adam; e com’elli intrò a ragionamento con lui. E dividesi tutta in parti sei: imperò che prima finge come, finita la sua risposta, tutto lo cielo risonò con dolcissimi canti, e come Beatrice rendette lume alli occhi suoi; nella seconda parte finge come, ritornato la vista in maggiore vigore che prima, elli dimandò del quarto lume ch’elli vidde adiunto ai tre, e dimandò Beatrice d’esso, et ella li manifestò chi era, e come nuovo desiderio li venne, et incominciasi quine: Onde me’ che dinanzi ec.; nella terza finge com’elli cominciò a parlare ad Adam, pregandolo che adempiesse la sua voglia la quale elli vedeva, et incominciasi
- ↑ C. M. fine, quanto alla sua divinità, di tale