106Perch’io la veggio nel verace spellio,1
Che fa di sè parellio all’altre cose,2
E nulla face lui di sè parellio.
109Tu vuoli udir quant’è che Dio mi puose
Ne l’eccelso giardin, ove costei
A così alta scala ti dispuose;
112E quanto fu ’l diletto alli occhi miei,3
E la propria cagion del grande sdegno,4
E l’idioma, che io usai e ch’io fei.5
115Or, fìgliuol mio, non lo gustar del legno6
Fu per sè la cagion di tanto esilio;
Ma solamente il trapassar del segno.
118Quivi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattro milia trecento e du’ volumi7
Di Sol desiderai questo concilio;
121E viddi lui tornare a tutti i lumi8
De la sua strada novecento trenta
Fiate, mentre ch’io in terra fu’mi.9 10
124La lingua, ch’io parlai, fu tutta spenta
Inanti che all’opra inconsummabile
Fusse la gente di Nembrot attenta:11
127Chè nullo affetto mai razionabile
Per lo piacere uman, che rinovella
Seguendo ’l Cielo, sempre fu durabile.
130Opera naturale è ch’om favella;
Ma così o così, natura lascia
Poi fare a voi, secondo che v’abbella.
- ↑ v. 106. C. A. speglio,
- ↑ v. 107. C. A. pareglio l’altre
- ↑ v. 112. C. A. fu diletto
- ↑ v. 113. C. M. C. A. gran disdegno,
- ↑ v. 114. C. A. e fei
- ↑ v. 115. C. A. non il
- ↑ v. 119. C. A. Quattromila
- ↑ v. 121. C. A. a questi lumi
- ↑ v. 123. C. A. fumi
- ↑ v. 123. Fu’mi; fuimi, mi fui, come Inf. C. xiv v. 3 rende’le in luogo di
rendeile ec. E.
- ↑ v. 126 C. M. La gente di Nembrot fusse attenta: