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C. XXIII — v. 25-39. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come apparve quine nel cielo ottavo Cristo con tutti li beati, rappresentandosi quine, siccome in quello luogo dal quale vegnano le influenzie di tutte le virtù, e dal qual s’infundeno nelli altri cieli che sono di sotto a lui, ponendo due similitudini, prima così: Quale; cioè sì fatto, chente è la Luna, nei pleniluni; cioè quando la Luna è piena, e ne’sereni; cioè quando la notte l’aire è puro, che non è turbato, Trivia; cioè la Luna che è chiamata Trivia, per tre potestati ch’ella àe: imperò ch’ella si chiama Luna in cielo, Diana nelle selve, Proserpina nello inferno; qui si pone per la Luna, ride; cioè risplende: è traslazione colore retorico, tra le ninfe eterne; cioè tra le stelle le quali sono state ninfe nel mondo, secondo le fizioni poetiche, e poscia trasmutate in stelle; e pone eterne improprie, cioè perpetue, o sempiterne, Che; cioè le quali stelle, dipingon lo Ciel per tutti i seni; cioè 1 per tutte le sue piegature: imperò che ’l cielo è curvo e piegato in verso noi, Vidd’io; cioè viddi io Dante, sopra milliaia di lucerne; cioè sopra migliaia di beati spiriti, che tutti risplendevano a modo di lumi e di lucerne, Un Sol; cioè uno splendore eccessivo e smisurato, come lo nostro Sole e via maggiore; e questo era Cristo, che; cioè lo quale Sole, tutte quante l’accendea; cioè tutte quelle beate anime: tutte risplendevano per lo splendore di questo Sole; et adiunge la similitudine: Come fa’l nostro; cioè 2 Sole, le viste superne; cioè le stelle che sono in cielo, che tutte ànno splendore dal Sole: tutti li corpi celesti riceveno lo splendore, che rendono, dal Sole, siccome corpi lucidi; e chiama le stelle viste: imperò che si vedeno. E ben finge l’autore che lo splendore di Cristo facesse lucide tutte quelle beate anime: imperò che ne la virtù de la passione di Cristo e nel suo sangue e ne le sue virtù tutti li santi sono salvati e santificati. E per la viva luce; cioè per lo grande splendore maggiore che’l Sole, trasparea; cioè si vedeva 3, La lucente sostanzia; cioè l’umanità di Cristo, tanto chiara; cioè essa sustanzia, Che ’l viso mio; cioè che la vista di me Dante, nolla sostenea; cioè non sosteneva di vedere quella lucente sustanzia; unde congratulandosi ora l’autore a Beatrice, dice: O; questo O è interiezione, che significa ammirazione e congratulazione, Beatrice, dolce guida e cara; s’intende era a me allora! Ella; cioè Beatrice, mi disse; cioè disse a me Dante: Quel, che ti sovranza; cioè quello, che soperchia la tua virtù visiva, È virtù da cui; cioè da la quale virtù, nulla si ripara: imperò ch’ella è virtù divina, che ogni cosa

  1. C. M. cioè non rappresentano varie figure, come chi dipinge tutte
  2. C. M. cioè come accende lo nostro Sole mondano, le viste
  3. C. M. vedeva penetrare alli occhi nostri, La lucente,