22Pareami che ’l suo viso ardesse tutto;
E li occhi avea di letizia sì pieni,
Che passar mi convien senza costrutto. 25Quale nei pleniluni e ne’ sereni[1]
Trivia ride tra le ninfe eterne,
Che dipingon lo Ciel per tutti i seni,[2] 28Vidd’io sopra milliaia di lucerne[3]
Un Sol, che tutte quante l’accendea,
Come fa ’l nostro le viste superne. 31E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara,
Che ’l viso mio nolla sostenea.[4] 34O Beatrice, dolce guida e cara![5][6]
Ella mi disse: Quel, che ti sovranza,
È virtù da cui nulla si ripara. 37Quivi è la sapienzia e la possanza,
Ch’ aprì le strade dal Cielo a la Terra,[7]
Onde fu già sì lunga disianza. 40Come foco di nube si disserra
Per dilatarsi, sì che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s’ atterra; 43La mente mia così, tra quelle dape
Fatta più grande, di sè stessa uscio,
E che si fece rimembrar non sape.[8][9] 46Apri li occhi, e riguarda qual son io:
Tu ài vedute cose, che possente
Se’ fatto a sostener lo riso mio.