[v. 52-60] |
c o m m e n t o |
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tale influenzia viene di quinde, come Iddio àe ordinato che tali, che nasceno sotto tale costellazione, siano atti ad essere solitari e contemplativi, come è stato detto di sopra, dove si disse delle significazioni di Saturno 1. E finge che questo li dica santo Benedetto, e che elli li manifesti: imperò che per lui venne in tale pensieri e considerazione. Seguita. C. XXII — v. 52-60. In questi tre ternari lo nostro autore finge com’elli dimandò santo Benedetto s’elli lo poteva vedere nella sua formale essenzia, senza la fascia dell’ardore e de la fiamma, dicendo così: Et io; cioè Dante dissi così, a lui; cioè a santo Benedetto: L’affetto; cioè la carità e l’amore, che dimostri; cioè la quale carità dimostri tu, beato spirito, Meco parlando; cioè con me Dante parlando, come è detto di sopra, e la buona sembianza; cioè la buona vista, Ch’io; cioè la quale io Dante, veggio e noto in tutti li ardor vostri; li quali sono qui con teco 2 e che io òne veduto nell’altre spere del cielo, Così à dilatata mia fidanza; cioè così àne ampliato la mia fede, Come ’l Sol fa la rosa; cioè come il Sole fa ampia la rosa col suo caldo; così voi co la vostra ardente carità, quando aperta Tanto divien; cioè la rosa, quant’ell’à di possanza; cioè quant’ella si può aprire. Ecco che fa la similitudine vera; cioè che, come lo caldo del Sole fa aprire la rosa, quanto aprire si può; così la vostra carità àe ampliato la mia fede e la mia credenza; cioè di potere essere dichiarato da te, se io posso avere tanto di grazia, che io vegga la tua imagine senza lo velame della luce. E però dice: Però ti prego; cioè te beato spirito, e tu, padre; cioè santo Benedetto, padre di tanti monaci, quanti ànno seguitato la tua regola, m’accerta; cioè fammi certo, S’io posso prender; cioè se io Dante posso avere, tanta grazia; cioè da Dio, ch’io; cioè che io Dante, Ti veggia; cioè vegga te, con imagine scoperta; cioè con imagine manifesta, e non velata da questa luce. Qui si può muovere dubbio, perchè lo nostro autore finge, perchè più qui che altrove li venisse questa vollia di vedere l’anime nella loro propria imagine. A che si può rispondere, perchè lo luogo ne fa cagione: imperò che, s’elli era sallito alla spera de’contemplativi, degno era ch’elli avesse più alti pensieri che per l’altre spere: imperò che li contemplativi pensano tutte l’alte cose d’Iddio, contemplando la creatura s’inalzano a contemplare lo creatore; e perchè l’anima umana è fatta a similitudine sua, però ànno desiderio li contemplativi di vedere l’essenzia dell’anima umana più che di niuna a|tra cosa creata; e però finse l’autore che tale pensieri li venisse in questo luogo.
- ↑ C. M. di Saturno si rappresentino gli contemplativi. E finge
- ↑ Con teco, con meco, con seco sono modi frequentissimi tra il popolo toscano; laonde chi li taccia di affettazione dà indizio d’ignorare affatto la lingua viva. E.