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[v. 22-36] | c o m m e n t o | 609 |
cioè io Dante colli occhi della mente, secondo l’allegorico intelletto e secondo la verità, cento sperule; cioè cento beati spiriti che mi s’appresentavano come piccole spere luminose, che colli occhi corporali non si debbe intendere che li vedesse, che ’nsieme; cioè le quali insieme, Più s’abbellivan; cioè che ciascuna non era per sè bella, con mutui rai; cioè con avvicendevili raggi, che l’una gittava a l’altra; e per questo dimostra la carità che è tra li beati, la quale sempre cresce tra loro. Io; cioè Dante, stava come quei; cioè come colui, che ’n sè; cioè che in sè medesimo, ripreme; cioè ristringne, La punta del disio; cioè la sollicitudine del desiderio, che lo punge, e non s’attenta Di dimandar; cioè quello che desidera di sapere, sì del troppo si teme; cioè sì teme di dimandar troppo. E la maggiore e la più luculenta; cioè quella luce che era maggiore e più chiara, che l’altre luci, Di quelle margarite; cioè di quelle anime, che riluceno più che margarite, inanti fessi; cioè inverso me più, che l’altre, Per far di sè la mia vollia contenta; cioè per farmi contento, dice Dante, di quello ch’io desiderava di sapere da lei. Poi dentro a lei; cioè dentro 1 dalla luce, udì’; cioè parlare lo spirito beato, che di quella luce si fasciava, udi’; cioè io Dante dire a lui. Se tu vedessi, Com’io, la carità che tra noi arde; cioè se tu, Dante, vedessi, disse quello spirito, la carità che arde tra noi beati, come veggo io che sono beato, Li tuoi concetti sarebber espressi; cioè li tuoi pensieri sarebbono manifestati da te a noi, e non aresti lasciato per dubitanza di non addimandare troppo: imperò che aresti veduto che noi siamo sì desiderosi del bene del prossimo e sì contenti, che c’è diletto di poterlo fare contento. Ma perchè tu; ma acciò che tu, Dante, aspettando; cioè aspettando che io sodisfaccia al tuo desiderio, non tarde; cioè non indugi, All’alto fine; cioè di venire a Dio, che è l’alto fine a che tu vuoi venire e quine finire la tua comedia, che so che questo è lo tuo grande desiderio, io; cioè beato spirito, ti farò risposta; cioè a te Dante, Pur al pensier; cioè che tu ài di voler sapere, di che; cioè del qual pensieri, sì ti riguarde; cioè tu, Dante, di dimandare. Seguita.
C. XXII — v. 37-51. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come lo detto beato spirito, lo quale elli finge che fusse santo Benedetto trovatore e componitore della regula monacile 2 dell’ordine di Camalduli, dicendo così: Quel monte; questo è uno monte altissimo in Campagna, chiamato Casino per uno castello che è chiamato così, posto nella costa del monte; e però dice l’autore: a cui; cioè al quale monte, Casino è nella costa; cioè uno castello così chiamato, Fu frequentato; cioè usato, già in su la cima: imperò che