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c a n t o xxii. | 605 |
139Vidi la fillia di Latona incensa
Senza quell’ombre, che mi fur cagione,1
Per che io già la credetti rara e densa.
142L’aspetto del tuo nato, o Iperione,
Quivi sostenni, e viddi com’ si move
Circa, e vicino a lui Maia e Dione.
145Quindi m’apparse il temperar di Iove2
Tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
Il variar che fanno di lor dove.
148E tutti e sette mi si dimostraro
Come son grandi, e come son veloci,
E come sono in distante riparo.
151L’aiuola, che ci fa tanto feroci,3
Volgendom’io co li eterni Gemelli,
Tutta m’apparve dal colle a le foci;4
154Poscia rivolsi li occhi alli occhi belli.
- ↑ v. 140. C. M. C. A. quell’ombra che mi fu
- ↑ v. 145. C. A. apparve
- ↑ v. 151. Il Cod. Palatino publicato ed illustrato dal ch. cav. Palermo ne porge la variante: La mola, che ci fa tanto feroci. E.
- ↑ v. 153. C. A. da’ colli alle
C O M M E N T O
Oppresso da stupore ec. Questo è Io xxii, nel quale l’autore finge come li apparve santo Benedetto e parlamentò con lui; e come si trovò subitamente montato per la scala sopradetta nel segno di Gemini che è nell’ottava spera; e come fece invocazione ad esso; e come, ragguardando in giù, vidde tutti li pianeti che aveva passati e la spera della terra di vile condizione, in tanto ch’elli commenda chi la sa dispregiare. E però divide questo canto principalmente in due parti: imperò che prima finge come Beatrice li dichiarò che fusse lo grande suono che uditte, e come li apparve santo Benedetto e manifestòli la sua condizione, e come li dimandoe grazia di vederlo ne la sua essenzia, e come santo Benedetto li risponde a la sua dimanda; nella seconda finge che, non finita ancora la sua