Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
576 | p a r a d i s o x x . | [v. 130-148] |
sta è cosa che manifestamente si vede: imperò che, accostandosi uno cristiano ad uno infidele, sente da quello procedere uno grande puzzo di Iezo che non si sente dal cristiano: imperò che la carne sua è mondata per la passione di Cristo, e quella del pagano è infetta: imperò che ’l cristiano si lava ne la fonte del battesimo che lava insieme la carne e l’anima. E riprendène; cioè del paganesmo Rifeo, le genti perverse; cioè le genti rivolte da Dio al dimonio. Quelle tre donne; cioè fede, speranza e carità, li fuor per battesmo; cioè a Rifeo, Che tu vedesti; cioè le quali tu, Dante, vedesti, da la destra rota; cioè del carro figurato ne la cantica seconda nel canto xxxii, Dinanzi al battizzar; cioè inanti li funno per battesimo, che li omini si battezzasseno, più d’un millesmo; come detto fu, inanzi fu Rifeo che Cristo fusse nel mondo per più di mille anni, sicchè allora che vivea, finge l’autore che si facesse cristiano per lo modo che detto è di sopra. Seguita.
C. XX — v. 130-138 In questi tre ternari lo nostro autore finge che la detta aquila per le cose dette di sopra ponesse una esclamazione a la predestinazione d’Iddio, quasi meravigliandosi, dicendo così: O predestinazion; predestinazione è quando Iddio prevede che alcuno sia salvato, che non può essere che non sia; e prescienzia è quando Iddio provede che uno debbe essere perduto. E perchè l’autore parla qui de’ salvati, però dice: predestinazione e non prescienzia— , quanto remota È la radice tua; cioè la cagione tua: perchè Iddio voglia colui salvato, e quell’altro dannato, nessuno lo sa, da quelli aspetti; cioè da quelli intelletti, Che la prima cagion non veggion tota; cioè li quali non vedono tutto Iddio che è prima cagione, e niuna creatura è che perfettamente e pienamente vegga Iddio! E voi, mortali; ecco che ammonisce li omini, dicendo: E voi omini, che siete mortali, tenetevi stretti Ad iudicar; cioè non volliate iudicare: Tale è degno dello inferno, e tale del paradiso, chè; cioè imperò che, noi; cioè beati spiriti, che Dio vedemo; cioè li quali veggiamo Iddio, lo quale chi vede, vede ogni cosa che è possibile a vedere, dèsi intendere, Non cognosciamo ancor tutti li eletti; cioè non sappiamo ancora ogni uno che debbe essere salvato. Et ène dolce così fatto scemo; cioè et è dolce a noi avere questa ignoranzia; et assegna la cagione; Perchè ’l ben nostro; cioè di no’ beati, in questo ben s’affina; cioè in questo bene à sua perfezione, cioè: Che quel, che vuole Iddio; cioè tutto ciò, che vuole Iddio, e noi volemo; cioè e noi vogliamo: in questo sta la perfezione dei beati che elli volgliano ciò che vuole Iddio. Seguita.
C. XX — v. 139-148. In questi tre ternari et uno versetto lo nostro autore finge come si compiesse lo parlamento della detta aquila; e come quelli due beati spiriti, dei quali fu parlato di sopra,