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[v. 67-78] | c o m m e n t o | 569 |
declinare: imperò che non ve ne rimane se non uno, Guiglielmo fu; questo fu re di Sicilia e ressela sotto grande iustizia, e fu iustissimo signore. Questo Guiglielmo fu descendente di Ruberto Guiscàrdo disceso dei duca 1 dei Normandi e fu figliuolo di Ruggeri figliuolo dell’altro Ruggeri, che fu figliuolo di Ruberto Guiscardo suddetto, et ebbe una sua suore lo detto Guiglielmo chiamata Gostanza la quale fece monaca violentemente; et avendo 42 anni fu cavata del munisterio e data per donna a lo imperadore Arrigo di Soave, e nacquene lo imperadore Federigo padre del re Manfredi, che fu re di Sicilia per eredità di questa sua aula. E, dopo Guiglielmo, prese lo reame di Sicilia Tancredi nipote di Ruberto Guiscardo, nato della suore e di Lignamonte principe d’Antiocia; lo quale Tancredi fu prima duca di Taranto, cui; cioè lo quale Guiglielmo, quella terra; cioè l’isula di Sicilia, plora; cioèò piange, perchè fu ai Siciliani buono rettore, Che; cioè la quale Sicilia, piange Carlo; cioè lo primo re Carlo, che fu duca d’Angiò e conte di Provenza, e poi re di Pullia e di Ierusalem e di Sicilia, e Federico vivo; cioè Federico di Ragona che fu anco re di Sicilia: imperò che questi furno buoni et iusti regi, secondo gli altri che seguitorno poi: o voltiamo intendere che pianga per le tribulazioni che ebbe ai loro tempi, che anco nel 1300 non erano smaltite. Ora cognosce; cioè lo detto re Guiglielmo, come s’inamora Lo Ciel de l’iusto rege: imperò che in cielo è beato per la sua iustizia, et al sembiante; cioè et a la dimostrazione, Del suo fulgore; cioè dello splendore, ch’elli mostra ora, il fa vedere ancora; cioè quanto s’innamora de l’iusto rege.
C. XX — v. 67-78. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come la detta aquila, continuando lo suo parlare, disse del quinto beato spirito, che era in quel cillio, cose meravilliose; fece fine al suo ragionamento, quanto a la narrazione dei beati che quine sono da essere nominati, dicendo così: Chi crederebbe giù 2; e dichiara di qual giù intenda, dicendo: nel mondo errante; cioè nel mondo che corre per tempo et erra e debbe avere fine; e questo dice a differenzia dello inferno che è mondo che non corre: imperò che non debbe avere fine, cioè questo che io dirò ora, dice l’aquila, Che Rifeo troiano; questi fu di Troia uomo iustissimo, secondo che dice Virgilio nel secondo de l’Eneide: Cadit et Ripheus, iustissimus unus Qui fuit in Teucris et servantissimus aequi. Diis aliter visum ec. — in questo tondo; cioè del mio cillio, Fusse la quinta de le luci sante! E con ammirazione proferisce questo: imperò che fu pagano, e non