Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
[v. 1-15] | c o m m e n t o | 563 |
vero Sole; e questo, secondo allegoria e moralità. Secondo la lettera, l’aquila è segno del mondo, perchè è segno dello imperio romano, a cui tutto il mondo ne le cose temporali dè essere obbediente, et è segno de’ duci del mondo: imperò che tutti i signori del mondo debbono seguitare lo imperio di Roma e lui obbedire, e lo imperio di Roma debbe avere solo rispetto a Dio et al suo vicario in terra, cioè al papa, Nel benedetto rostro; cioè nel suo benedetto becco, fu tacente 1; cioè che non parlò più. Et assegna la cagione, per che lo detto atto li venne a mente, dicendo: Però che tutte quelle vive luci; cioè quelli beati spiriti, che si rappresentavano come luci, Via più lucenti; cioè che prima, cominciaron canti; cioè 2 a cantare, Da la mia mente; cioè di me Dante, labili e caduci 3: imperò che nolli ò potuto ritenere nella mente. O dolce Amor; ecco l’autore fa esclamazione a l’amore et a la carità, che quine era e quine si dimostrava, dicendo: O dolce Amor: dolce è la carità tra l’uno prossimo e l’altro, e dolcissimo è l’amore che l’anima porta a Dio, che; cioè lo quale amore, di riso t’ammanti; cioè ti vesti di riso e d’allegrezza: tanta è l’allegrezza tra li beati, quanto è l’amore: imperò che la carità e l’amore è lo bene di vita eterna: l’allegrezza è dimostrativa della carità, è però che s’ammanta d’allegrezza. Quanto parevi ardente; cioè tu amore, quanto parevi fervente, in quei favilli; cioè in quelli beati spirti, che parevano a modo di faville, Ch’avien spirto; cioè li quali avevano spirazione, sol; cioè solamente, di pensier santi; cioè di santi pensieri e non d’altro!
C. XX — v. 16-30. In questi cinque ternari lo nostro autore finge che la detta aquila incominciò’ a parlare con lui; ma inanti descrive lo modo, col quale s’indusse a parlare di quella materia che aveva vollia d’udire, dicendo così: Possa che i chiari e lucidi lapilli; cioè poi che quelli beati spiriti, che erano come pietre preziose, chiare e splendienti a formare la detta aquila, Und’io; cioè dei quali io Dante, viddi ingemmato; cioè siccome di gemme ornato, il sesto lume; cioè lo sesto pianeto, cioè Iove, Puoser silenzio; cioè puoseno 4 tacimento, alli angelici squilli; cioè ai canti angelici, cioè poichè finittono li canti dolci come quelli delli angeli, che aveano cantato dinanzi, Udir mi parve; cioè a me Dante, il mormorar d’un fiume; cioè lo suono, che fa l’acqua del fiume, Che; cioè lo qual fiume, scende chiaro giù; cioè dall’altezza del monte, di pietra in pietra 5; e per lo perquoter delle pietre fa l’acqua tale mormorio,
- ↑ Fu tacente, ecco il verbo nella sua forma logica; cioè nella copula e nell’attributo. E.
- ↑ C. M. cioè comincionno canti a laude di Dio, Dalla
- ↑ C. M. caduci; cioè dimentichi della mente mia, sicchè io non li òe potuto ritenere. O dolce
- ↑ C. M. puoseno silenzio,
- ↑ C. M. in pietra; ecco che dimostra come scendino li fiumi de’ monti dell’ una pietra in su l’altra; e per questo fanno suono, per lo percuotere