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133Et a dare ad intender quanto è poco.
La sua scrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.1
136E parrann’a ciascun l’opere sozze
Del barba e del fratel, che tanto egregia2
Nazione e due corone àn fatto bozze.
139E quel di Portogallo, e di Norvegia
Lì si cognosceranno, e quel di Rascia,
Che mal à visto il cogno di Vinegia.3
142O beata Ungaria, se non si lascia
Più malmenare! e beata Navarra,
Se s’armasse del monte che la fascia!
145E creder dè ciascun, che già, per arra
Di questo, Nicosia e Famagosta
Per la sua bestia si lamenti e garra:
148 Chè dal fianco dell’altre non si scosta.
- ↑ v. 135. C. A. che non terranno
- ↑ v. 137. Barba, da barbà armeno, figlio od affine di padre. E
- ↑ v. 141. C. A. conio
C O M M E N T O
Parea dinanzi a me ec. Questo è lo canto xix, nel quale l’autore nostro finge come quella aquila, formata di quelli santi spiriti, parlò con lui. E dividesi questo canto in due parti principali: imperò che prima finge come quella aquila parlò a lui, manifestando di che condizioni erano li spiriti che formorno quell’aquila, e come elli mosse uno dubbio senza manifestarlo, dicendo con generali parole; ne la seconda finge come la detta aquila solvè lo dubbio e riprese li regi del mondo che ànno abbandonato la iustizia, et incominciasi quine: Or tu chi se, ec. La prima, che sarà la prima lezione, si divide in parti sei: imperò che prima finge come la detta aquila li apparve et in che forma; nella seconda finge come la detta aquila li manifestò di che condizione erano li spiriti che in quella aquila si rappresentavano, et incominciasi quine: E cominciò: Per