Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
522 | p a r a d i s o x v i i i . | [v. 70-81] |
l’autore fa menzione del suo montamento al sesto pianeto, che è Iove, sì velocemente dove si mostra che elli intenda del montamento mentale lo quale è subito, anco subitissimo: imperò che nessuna cosa va più tosto che la mente, che vola in un atamo di terra al cielo, debbiamo sapere che l’altezza di Iove maggiore che è più distante da la terra, secondo che dice Alfragano 1, cap.° xxi e xxii et è la inferiore altezza di Saturno, è quaranta sei volte mille volte mille milliaia et ottocento sessanta volte mille milliaia e dugento cinquanta millia; e la più bassa lunghezza di Iove, che è la più alta di Marte, è ventotto volte mille volte mille et ottocento quaranta sette milliaia di millia. Et intendesi per questo quanto è distante la terra, e quanto dista dall’altro pianeto che è di sotto di lui. Et è lo corpo di Iove, cioè lo suo diametro, tanto quanto lo diametro della terra quattro volte e mezzo, e la sesta decima parte d’una volta. E tra 2 l’uno e l’altro pianeto, cioè tra Marte et Iove, nulla è in mezzo: però che lo cerchio dell’uno co l’epiciclo e col corpo del pianeto rasenta l’altro, sicchè non v’è voto nulla. Seguita la seconda lezione del canto xviii.
Io viddi in quella iovial facella cc. Questa è la seconda lezione del canto xviii, nella quale lo nostro autore finge quello che vidde nel pianeto Iove. E dividesi tutta in parti cinque: imperò che prima finge come vidde favillare spiriti in esso pianeto e cantare e formare di sè varie figure; nella seconda parte finge che invocasse Pallade, pregandola che li desse ad intendere quelle figure e quelli canti, et incominciasi quine: O diva Pegasea ec.; nella terza finge come poi vidde ancora un’altra figura e poi anco un’altra, et incominciasi quine: Possa nell’emme ec.; nella quarta finge come vidde un’altra figura sopraposta all’altra che avea veduto prima, e dimostra invocando quello che per quello intendeva, et incominciasi quine: Quel che dipinge ec.; nella quinta parte et ultima finge ch’elli pregasse per quelli del mondo e riprenda li pastori della Chiesa, et incominciasi quine: O milizia del Ciel ec. Divisa la lezione ora è da vedere lo testo co l’esposizione letterale, allegorica e morale.
C. XVIII — v. 70-81. In questi quattro ternari lo nostro autore finge quello che vidde nel corpo di Iove, nel quale s’era trovato, dicendo così: Io; cioè Dante, viddi in quella iovial facella; cioè in quel corpo del pianeto Iove, lo quale risplendeva come una fiaccola accesa; ma dice l’autore facella, diminutivo nome per la rima: im-
- ↑ Alfragano; Ahmed ben Kesir al-Fergani, detto Alfergano, Alfragano ed Alfagrano, perchè nato a Ferganati città della Sogdiana: famoso astronomo che fiorì sotto sal-Mamun nel secolo ix dell’era volgare. E.
- ↑ C. M. tra l’uno pianeto e l’altro nulla è in mezzo: imperò che lo cerchio differente dell’uno tocca l’altro, sicchè non est dare vacuum in natura. Seguita