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[v. 106-120] | c o m m e n t o | 507 |
mente l’addimandatore. E qui è moralità che lo consilio si dè dimandare da chi sa e vuole 1 consiliare, et ama dirittamente l’addimandatore.
C. XVII — v. 106-120. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come elli mosse un altro dubbio al suo terzo avo, che nacque della dichiaragione che li fece, predicendoli l’avversità che li dè venire, dicendo così: Io veggo ora l’avversità, che m’è per venire addosso e che io debbo perdere la mia cità per falso accagionamento, et io faccio questo mio libro dove io dico de’ vizi delle persone del mondo grandi et alte, e li uomini ànno per male che sia detto male di loro: io non vorrei che per questo mi fusse vietato l’andare per lo mondo. E qui usa l’autore bella fizione: imperò che elli stesso muove a sè quella obiezione che molti muoveno; cioè che l’autore fece male a diffamare li signori e le persone antiche, che elli poteva bene trattare la materia sua senza nominare persona. A che elli finge che risponda messer Cacciaguida per lo modo, che dirà di sotto. Dice lo testo cosi: Ben veggio; cioè io Dante, padre mio; dice a messer Cacciaguida: imperò che usanza e convenienzia è de’ minori di chiamare li maggiori padri, e li maggiori chiamare li minori filliuoli, siccome sprona Lo tempo verso me; cioè come lo tempo s’affretta di venire inverso a me Dante, per colpo darmi; cioè per darmi lo colpo dell’avversità ch’elli adduce, Tal; cioè sì fatto colpo, ch’è più grave; cioè che più grave è, a chi più s’abbandona; cioè a colui, lo quale più s’abbandona e non si provede, che a colui che si provede e rimediasi. Però; ecco che di quinde conchiude, di providenzia è buon ch’io; cioè che io Dante, m’armi; cioè armi me di providenzia, acciò che io mi provegga e non m’abbandoni, Sì, cioè per sì fatto modo, che, se ’l loco m’è tolto più caro; cioè lo luogo della mia città: imperò che, ben che se ne uscisse per lo male stato della terra, elli poi falsamente fu incolpato d’essere di quelli che guastavano la città; cioè co li bianchi che si mosseno con buono principio, benchè, poi che furno fuori, si mutasseno; ma l’autore non fu con loro, fu fatto sbandito e come ribello della città condennato. Io; cioè Dante, non perdesse li altri; cioè luoghi del mondo, per mie’ carmi; cioè per mie’ versi e per mia poesi. Giù per lo mondo senza fine amaro; cioè per lo inferno dove sarà amaritudine perpetua, E per lo monte; cioè del purgatorio, del cui bel cacume 2; cioè della bella altezza del quale monte, cioè del paradiso delitiarum, che l’autore finse essere in su la sommità del detto monte.