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[v. 46-57] | c o m m e n t o | 499 |
ne le cose contingenti: imperò che à li atti liberi, che vegnano secondo la libertà d’arbitrio; ma, poi che è separata dal corpo, àne li atti necessari, Tutta; cioè la contingenzia, cioè tutti li atti che procedeno da la libertà d’arbitrio che sono contingenti, li altri sono necessari, è dipinta nel cospetto eterno; cioè tutti li atti nostri, che vegnano da libertà d’arbitrio, sono rappresentati nella visione divina, come si rappresentano li atti ne la dipintura. Et ora solve lo dubbio che quince nasce, cioè: Se le cose contingenti si vedeno in Dio, dunqua non possano venire altrementi ch’elle siano vedute in Dio, dunqua diventano necessarie, e però solve questo dubbio, dicendo che no: imperò che, benchè Iddio vegga le cose contingenti, elli le vede presenzialmente benchè siano future, sicchè lo suo vedere non dà necessità a quelle, se non come lo nostro vedere non dà necessità a le cose presenti che procedono da libero arbitrio e sono contingenti; e però dice: Necessità però; cioè benchè sia veduta da Dio la contingenzia, quinde; cioè da la visione divina, non prende; ciò non pillia la contingenzia, Se non; ecco che arreca la similitudine, come dal viso; cioè d’alcuno uomo, in che si specchia; cioè nel quale viso umano si rappresenta siccome in specchio, Nave; cioè alcuna, che; cioè la quale, per torrente; cioè per fiume, giù discende; cioè vada discendendo: ella pur va secondo che volliano li naviganti che la governano, benchè l’occhio umano la vegga. Da indi; cioè da la visione divina, siccome; ecco che fa una similitudine, viene ad orecchia Dolce 1 armonia d’organo: cioè come viene a l’orecchio la dolce sonorità dell’organo o d’altro istrumento musico, che viene rappresentato per l’aire, mezzo nel quale tale suono si crea, così mi viene; cioè a me Cacciaguida. A vista ’l tempo; cioè al mio vedere lo tempo, che ti s’apparecchia; cioè lo quale s’apparecchia a te Dante: imperò che io lo veggo presente in Dio quello, che a te è futuro.
C. XVII — v. 46-57. In questi quattro ternari finge lo nostro autore che, poi che messer Cacciaguida ebbe fatto lo suo esordio, venne a la narrazione, dicendo per una similitudine come per onestà Dante converrà partirsi di Fiorenza, come convenne partirsi Ipolito d’Atene per la sua matrigna Fedra che lo richiese di disonesto amore, come è stato detto di sopra ne la cantica prima nel canto xii. Teseo figliuolo del re Egeo d’Atene. poi che ebbe sconfitto lo Minotauro in Creta e menatone le due figliuole del re Minos di Creta, che l’una; cioè Adriana o vero Adrangne che fusse chiamata,
- ↑ Pietro Giordani nel suo Discorso, - Dante e la Musica - si esprime così «Dante ti dice che la percezione de’ suoni è delle più nette e insieme più all’animo gradite. E quindi Cacciaguida afferma ch’egli chiaramente vede in Dio quello che avvenir dee al suo pronipote Dante, come l’uomo riceve per l’orecchia nell’animo una grata consonanza di voci di strumenti». E.