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p a r a d i s o xv. |
[v. 25-36] |
viene a dire: A cui fu mai la porta del cielo aperta due volte, sì come a te, mio sangue, che ora aperta la porta del cielo è a te una volta, che vai di cielo in cielo, secondo la lettera, corporalmente; ma, secondo l’allegorico intelletto, mentalmente e poeticamente fingendo; al quale modo non si truova che mai v’andasse niuno: imperò che santo Paulo v’andò ratto da Dio, et Enea poeticamente, cioè secondo fizione, andò pure a li infernali; ma Dante andò suso in cielo, secondo la sua fizione, et un’altra volta profeta che vi debbia andare, cioè veramente quando l’anima si partirà dal corpo. E sopra questa parte potrebbe altri dubitare, benchè l’autore finga che lo suo terzo avo dicesse le dette parole di lui, la verità è che elli le disse. È adunqua licito a l’uomo di lodarsi, come si loda l’autore, cioè che mai niuno non ebbe simile pensieri a questo che ’l mettesse ad esecuzione, come egli? A che si può rispondere che licito è a l’uomo di dire la verità di sè dicendola per manifestare, et anco a fine di averne loda: imperò che gli eccellenti, come era l’autore, cercano loda; ma non li perfetti, siccome dice Boezio nel secondo de la Filosofica Consolazione: Tum ego: Scis, inquam, ipsa minimum 1 nobis ambitionem mortalium rerum fuisse dominatam. Sed materiam gerendis rebus optavimus, quo ne virtus tacita consenesceret. At illa: Atqui hoc unum est, quod praestantes quidem natura mentes; sed nondum ad extremam manum virtutum perfectione perductas allicere possit gloriae scilicet cupido, et optimorum in rempublicam fama meritorum. Ecco che pone Boezio che la Filosofia dica che lo desiderio della gloria può allettare le menti eccellenti per natura; ma non perfette, sicchè bene è licito a l’autore di lodarsi di quel che è vero, e massimamente di questa comedia, che non la fece ad altro fine che per acquistar fama. O vogliamo dire mellio che l’autore in ciò non loda sè; ma ricognosce la grazia da Dio, quasi dica: A cui fu fatta mai tanta grazia da Dio, che due volte li fusse aperta la porta del cielo, come a me Dante! E questa è la prima volta, e della seconda mostrò d’avere ferma speranza per la grazia d’Iddio, siccome debbe avere ogni fidele cristiano, sperando ne la misericordia d’Iddio. Così quel lume; cioè così parlò quel lo splendore, del quale è detto di sopra, cioè messer Cacciaguida, dicendo le parole dette di sopra, cioè: O sanguis meus, — ond’io; per la qual cosa io Dante, attesi a lui; cioè puosi la mia attenzione a quello beato spirito. Poscia rivolsi; cioè io Dante, a la mia donna il viso; cioè rivolsi il volto a Beatrice, E quinci; cioè da Beatrice, e quindi; cioè dal detto messer Cacciaguida mio terzo avo, udendo lo suo parlare, fui stupefatto;'Testo in corsivo cioè diventai stupefatto, meravigliandomi
- ↑ nimium nobis