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[v. 127-139] | c o m m e n t o | 427 |
dolce suono, dicesi 1 tintinno suono de la sua voce: imperò che fa tin tin A tal; cioè uomo che l’ode, da cui; cioè dal quale, la nota: cioè lo modo e l’arte del canto, non è intesa; cioè che non intende l’artificio e niente di meno à dolcessa del suono. E posta la similitudine, ecco che l’adatta, dicendo: Così; cioè come è detto di sopra de li istrumenti, da’ lumi; cioè di beati spiriti luminosi, che; cioè li quali, lì; cioè in quel luogo, m’apparinno; cioè apparitteno a me Dante, S’accollie per la Croce; cioè per quella croce, che detta è nel corpo di Marte, una melode; cioè una dolcezza di suono, Che; cioè la quale dolcezza, me; cioè Dante, rapiva; cioè cavava fuor di me, senza intender l’inno; cioè senza ch’io intendesse l’inno che cantavano: inno tanto è a dire, quanto loda d’Iddio. Ben m’accors’io; cioè ben m’avviddi io Dante, ch’elli; cioè che quello inno, era d’alte lode; cioè d’altissimo intelletto erano quelle lode, e però finge ch’elli non le intendesse. Però; ecco la cagione, che a me; cioè a me Dante, cioè al mio intelletto, venia; cioè apprendevile et intelligibile questo che seguita, cioè: Risurgi e vinci; questa è parola de la santa Scrittura che si dice di Cristo: imperò che egli risurresse 2 da morte e vinse lo dimonio che aveva vinto l’uomo, e questo bene è intelligibile a lo intelletto umano; ma l’altre cose divine, che furno fatte da Cristo e che in lui sono, et apprendeno e diceno li beati che sono comprensori, non si possano intendere da no’ che siamo viatori. E però debitamente finge lo nostro autore ch’elli non apprendeva se non Risurgi e vinci; ma l’altre cose no, perchè elli era anco viatore, Com’a colui; ecco che arreca la similitudine, dicendo che a lui avveniva come avviene a colui, che non intende et ode; cioè ode la voce; ma non intende le parole, e così dice l’autore che avveniva a lui. Seguita.
C. XIV — v. 127-139. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore manifesta lo piacere ch’elli finge che avesse, quando uditte li canti detti di sopra, dicendo: Io; cioè Dante, m’innamorava tanto quinci; cioè da questo canto, che io udiva da quelli beati spiriti, Che ’nfin a lì; cioè che infine a quello luogo di tutti quelli, ne’ quali io era stato, non fu alcuna cosa; di tanta consolazione e di tanto piacere; e però adiunge: Che; cioè la quale, me legasse; cioè me Dante tenesse stretto a sè, con sì dolci vinci; cioè con sì dolci legami. Veramente nulla cosa è che tanto leghi l’omo a Dio, quanto la meditazione de la passione di Cristo; e sia di tanta dolcezza, di quanta è quella; imperò che in essa si comprende lo smisurato amore che Iddio ebbe a l’umana natura, quando diede lo suo figliuolo a tanta pena per ricomperare quella. E chi è quelli che, vedendosi