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p a r a d i s o i. |
[v. 94-108] |
secondo la fizione dell’autore, ponendo questa ragione delle cose ragionevoli e naturali: Niuno savio si dè maravigliare, e lo tuo montare è ragionevole e naturale, dunqua tu, Dante, che dei essere savio, non te ne dei maravigliare. La maggiore è vera: imperò che solo le cose, delle quali le cagioni sono ignote, adduceno maraviglia; le cagioni delle cose della natura e che sono ragionevoli non sono ignote ai savi, dunqua non se ne dè lo savio meravigliare. Che la minore sia vera; cioè che ’l montar di Dante sia naturale e ragionevole, si proverà nel testo; dunqua seguita la conclusione, e tiene l’autore questo ordine: imperò che propone la prova della minore con uno argomento, rimovendo tutte obiezioni e quello fortificando, et al fine pone la conclusione del primo silogismo, e ponsi quine presso alla fine del canto, cioè Non dei più ammirar. Quella, dove pone l’argomento a provare la minore, si divide in tre parli: imperò che prima pone la maggiore, quando dice: Le cose tutte; nella seconda pone la minore, quando dice: Nell’ordine ch’io dico; nella terza pone la conclusione, quando dice: Et ora lì. Dice dunqua così: Cioè e le cose che Iddio à create, Anno ordine tra loro; cioè sono ordinate insieme ciascuna nel suo essere: ordine è disposizione delle cose pari e dispari, ciascheduna nel suo luogo da essere allogata secondo la sua natura, e questo: cioè ordine, è forma: forma è quello che dà essere alla cosa, Che; cioè la quale forma che Dio à posto e dato a le cose, fa l’Universo; cioè tutta la creatura, a Dio similliante; tutta la creatura à Iddio produtta a similitudine di sè; unde dice Boezio nel iii libro, Filosofica Consolazione: Tu cuncta superno Ducis ab exemplo, pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similique in imagine formans, Perfectasque iubens perfectum absolvere partes. — Qui; cioè in questo ordine, veggion l’alte creature; cioè li angiuli e li omini d’alto intelletto, l’orma; cioè lo vestigio e lo segno, Dell’eterno valor; cioè dell’eterna potenzia, sapienzia e clemenzia d’Iddio, che à potuto, saputo e volsuto fare tutte le cose con tanto ordine, lo quale; cioè valore, è fine; Dio è fine d’ogni cosa, com’ è elli principio d’ogni cosa, Al quale; cioè fine, è fatta la toccata norma; cioè la regola e l’ordine detto di sopra. Per questo dimostra l’autore che come Iddio è principio di tutte le cose; così conviene essere fine di tutte le cose; e per questo fu necessario essere ordine nelle cose, per lo quale ordine le cose produtte dal suo principio ritornasseno in esso siccome in suo fine, e questo non potrebbe essere se l’ordine dato da Dio nolle ripiegasse e riducesse ad esso, e questo può essere manifesto a chi considera sottilmente le cose della natura, sì come per grazia d’esemplo Iddio produsse la terra di niente nella sua grandezza e nella sua gravità, acciò che tenesse la parte ima. E così quando a lui piacerà