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[v. 64-72] | c o m m e n t o | 23 |
incominciata di sopra, et incominciasi quine: Nell’ordine ec.: nella sesta parte deduce lo detto generale a suo proposito, et incominciasi quine: Et ora lì ec.; nella settima et ultima conferma la sua dichiaragione, conchiudendo con esemplo, o vero similitudine contraria, et incominciasi quine: Non dei più ec. Divisa la lezione, ora è da vedere l’esposizione litterale, allegorica o vero morale col suo testo.
C. I — v. 64-72. In questi tre ternari lo nostro autore finge com’elli si sentì trasmutato, dicendo: Beatrice tutta: imperò che non intendeva ad altro, però dice tutta, nell’eterne rote; cioè de’cieli li quali rotano sempre, e roteranno e gireranno quanto a Dio piacerà; e puossi dire che eterne si pongna impropriamente in questa parte; cioè sempiterne, Fissa; cioè fermata, colli occhi; cioè suoi, stava: li occhi de Beatrice sono li occhi de’ Teologi che l’ànno composta, e li occhi sono l’intelletti allegorici e litterali, li quali stanno tutti fermati nelle cose celesti, e massimamente in quella parte che allora studiava Dante, et io; cioè Dante, fissi; cioè fermai, in lei; cioè in Beatrice, Le luci; cioè de li occhi miei, rimote di lassù; cioè levate dal ragguardamento dei cieli. E per questo vuole dire ch’elli levò lo ragguardamento della mente dai cieli et arrecollo alla santa Teologia; cioè in quella parte dove è, nella città delle cose celesti, fermai la ragione e lo intelletto. Nel suo aspetto; cioè di Beatrice, cioè studiandola e contemplandola in quella parte ove ella tratta delle cose celesti: anco Dante, secondo che infinge, non si era accorto ch’elli fusse trasumanato, ben ch’elli avesse veduto duplicare lo splendore del Sole, e di ciò si fusse accorto; ma ragguardando nella santa Teologia fisamente colla ragione e collo intelletto, vedendosi intendere quelle cose che innanzi che fusse in sì fatto stato non intendea, s’accorse che era trasumanato quanto a l’anima sì, come si dè intendere secondo l’allegorico intelletto e sì come dimostra lo testo; ma secondo la lettera, per farla verisimile, finge anco secondo lo corpo, tal dentro mi fei; cioè io Dante ne l’anima mia; ecco che dimostra che fu mentale, Qual si fe Glauco; cioè quello pescatore, nel gustar de l’erba; cioè nell’assaggiare e mangiar l’erba, Che ’l; cioè la quale erba lui, fe consorto in mar de li altri dei: imperò che diventò pescio marino et iddio marino. Narra Ovidio, libro xiii Metamorfosi, che Glauco pescatore, figliuolo d’Antedone: con ciò sia cosa che avesse preso bellissimi pesci e volessili portare alla città, riposandosi un poco in fine che le reti asciugasseno, li puose in sull’erba, et allora quelli pesci per vigore e per lo toccamento dell’erba ritornati in vita saltòno in mare; la qual cosa Glauco vedente pensò quello ch’era; cioè che per virtù dell’erba ciò fusse avvenuto e volentelo provare prese di quella erba e mangiòne, et alienato allora della mente, dello