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318 | p a r a d i s o x. | [v. 64-75] |
più cose; cioè altre da quella, divise; cioè distrasse la mente sua a più altre cose. E per questo dà ad intendere l’autore, secondo l’allegoria, come elli, indutto per la Santa Scrittura a levare la mente a Dio, levòla et unittela a Dio per sì fatto modo che dimenticò e lasciò allora lo studio della santa Teologia; ma guardando poi lo suo gaudio ch’ella dimostra che sia a tutti i santi et a tutti i beati della conversione del peccatore a Dio, mostratoli lo lume dell’uno e dell’altro intelletto litterale e morale per l’una parte, et allegorico et anagogico per l’altra parte, divise la mente sua, che era unita a Dio a considerare diversi uomini virtuosi stati nel mondo et illuminati di scienzia, de’ quali doveva dimostrare in questo canto, come apparrà di sotto.
C. X — v. 64-75. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come vidde spiriti beati et uditte cantare nel corpo del Sole, li quali venneno ad udire lui e Beatrice e feceno cerchio intorno a loro, e però dice: Io; cioè Dante, vidi più fulgor; cioè splendori: imperò che l’animo beate non sono in altra spezie che di lumi e splendori, vivi e vincenti: imperò che finge che fussono spiriti beati, dice vivi; e perchè finge che fussono beati, però dice, e vincenti; cioè col suo splendore lo splendore del Sole, Far di noi; cioè di Beatrice e di me, centro; cioè mezzo: lo centro è lo punto del mezzo del tondo, e di sè far corona: imperò che si recorno in cerchio in torno a noi, Più dolci in voci; cioè più dilettevili nel canto, che ’n vista lucenti; cioè che risplendenti a la vista delli occhi. E per questo ad intendere dà che lo loro splendore dilettava la vista; ma anco lo loro canto più dilettava l’audito; e questo dice, per dare ad intendere questa moralità che, benchè l’opere virtuose dilettino coloro che le vedono anco dilettano più le parole sante e virtuose che passano dentro e muoveno lo cuore. E perchè questi, dei quali parla qui, finge che siano quelli che sono stati scientifichi nel mondo e dottori et ammaestratori ch’ànno composti libri, li quali suonano dolcemente ne li orecchi del corpo e del cuore dei lettori, però finge che questi cantino più dolcemente che li altri. Così; ecco che arreca la similitudine, cinger la fillia di Latona; cioè la Luna la quale, secondo la fizione poetica, fu figliuola di Latona e nacque d’uno parto insieme con Febo, come è stato detto di sopra xii canto del Purgatorio, la quale alcuna volta àe uno cerchio in torno sè; e questo addiviene quando è tonda e vapori si levino la notte, nei quali radi, sicchènon cuoprono la Luna, ella gitta lo suo splendore, e ne’ più spessi che sono prèsso a lei non si vede; ma nei più radi, che sono distanti da lei forse uno braccio, fa lo suo splendore uno filo a modo come uno cerchio, come veggiamo che fa la lampana quando è accesa: imperò che di sotto a sè che v’è l’olio e l’acqua