22Or ti riman, Lettor, sovra ’l tuo banco.
Dietro pensando a ciò che si preliba,
S’esser vuoi lieto assai prima, che stanco.
25Messo t’o innanzi; omai per te ti ciba:
Che a sè torce tutta la mia cura1
Quella materia, ond’io son fatto scriba.
28Lo ministro maggior de la Natura,
Che del valor del Cielo il mondo imprenta,
E col suo lume il tempo ne misura,
31Con quella parte, che su si rammenta,
Coniunto si girava per le spire,
In che più tosto ogni ora s’appresenta,
34Et io era con lui; ma del salire
Non m’accorsi io, se non com’om s’accorge.
Ansi ’l primo pensier, del suo venire.
37O Beatrice, quella che si scorge
Di bene in meglio sì subitamente,
Che l’atto suo per tempo non si porge,2
40Quant’esser con venia da sè lucente!
Chè quel, ch’era entro al Sol, dov’io entra’mi,3
Non per color; ma per lume parvente,
43Perch’io l’ingegno e l’arte e l’uso chiami,
Sì nol direi, che mai s’imaginasse;
Ma creder possi, e di veder si brami.
46E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza, non è meraviglia:
Chè sopra ’l Sol non fu occhio ch’andasse.
49Tal’era quivi la quarta famiglia
De l’alto Padre che sempre li sazia,4
Mostrando come spira e come figlia.
- ↑ v. 26. C. A. a sè ritorce
- ↑ v. 39. C. A. si sporge,
- ↑ v. 41. C. A. Quel ch’era dentro al Sol d’ond’io
- ↑ v. 50. C. A. la sazia,