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[v. 85-96] | c o m m e n t o | 267 |
zio: Militat in silvis catulus, nelle sue Epistole nel libro primo, Che; cioè la quale milizia, non curasse di mettere in arca; cioè non curasse d’avanzare per mettere nella torre della Bruna, che era in Napoli dove era lo tesoro del re Roberto; e non facesse maggiore oppressione ai sudditi che possine portare. E nota che l’autore parlò qui molto cautamente: imperò che, intendendo le parole simplicimente, pare ch’egli ponga la colpa dell’avarizia nelli officiali, et allora si dè intendere ch’elli erano catalani poveri et avari; et elli, che era disceso da largi progenitori, non sapeva loro essere avaro e dava loro maggiore provigione che non poteva e lassavali rubare ai sudditi. Altremente le parole, come è detto di sopra, si può arrecare a lui; e però pigli lo lettore quel che vuole. Ma qui si può muovere uno dubbio testuale: imperò che pare che l’autore contradica a sè: imperò qui dice che lo re Roberto era disceso da larghi e nel canto xx della seconda cantica, dove induce a parlare Ugo Ciappetta, dice che Carlo Zoppo padre del re Roberto dovea essere avaro, predicendo che dovea vendere la figliuola al Marchese da Esti, et esclama dicendo: O avarizia, che puoi tu più farne ec. A che si può rispondere che, benchè Carlo Zoppo avesse quella avarizia, fu largo in verso li suoi sudditi come erano stati anco largi li suoi; ma lo re Roberto stralignava in questo da’suoi, o così si può dire che non si contradice.
C. VIII — v. 85-96. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come egli mosse lo dubbio al detto spirito col qual parlava 1; e come li promisse di dichiararlo, dicendo così: Però ch’io credo; dice Dante a lo spirito predetto; imperò ch’io Dante credo, cioè questo, signor mio; ecco che chiama l’autore quello spirito signore 2, che l’alta letizia; cioè grande e profonda, Che ’l tuo parlar m’infonde: cioè la quale lo tuo parlare infonde e mette nel mio cuore, Per te si veggia; cioè per te Carlo si vegga la mia letizia profonda, che io ò di te, che ti veggio in istato di beatitudine, e del tuo vertuoso parlare, come la veggio io; Dante la mia letizia; e dove la vedi? Là v’ogni ben si termina: cioè in quello luogo nel quale ogni bene si finisce, e s’inizia; cioè et incominciasi, cioè in Dio unde viene ogni bene, e dove torna ogni bene, Grata m’è più; cioè più m’è a grado la mia letizia, che non sarebbe se io credesse che tu non la vedessi com’io, et anco questo ò caro; cioè io Dante anco questo ò caro, cioè Perchè ’l discerni; cioè lo cognosci che io credo questo, rimirando in Dio; cioè riguardando in Dio, nel quale riluce ogni cosa siccome ne lo specchio, sicchè perch’io credo che tu veggi la