Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
[v. 16-57] | c o m m e n t o | 261 |
dimostrava! Cosi fatta; cioè quanto e quale tu m’ài veduto fatta, mi disse; cioè disse a me Dante lo detto spirito, il mondo m’ebbe; cioè ebbe me che ti parlo, Giù poco tempo; cioè nel mondo poco tempo: imperò che poco vissi in sì fatta carità, com’io sono ora, e s’io più fussi stato; cioè giù nel mondo, cioè s’io fusse più vissuto che io non vissi in sì fatta condizione, Molto s’era di mal che non sarebbe: imperò ch’io l’arei stroppiato. Et assegna la cagione per che elli non lo ricognosce, dicendo: La mia letizia mi ti tien celato; cioè me beato spirito a te Dante, Che mi raggia dintorno; cioè la quale allegrezza mi risplende dintorno: per l’amore cresce l’allegrezza, e per l’allegrezza cresce lo splendore nei beati: imperò che più riluce la loro virtù e la loro carità, e me; cioè beato spirito, nasconde; cioè appiatta, che tu non mi puoi vedere, Quasi animal di sua seta fasciato; ecco che fa la similitudine, cioè come li vermi che fanno la seta che si fasciano e rinchiudono nella sua seta ch’elli fanno. Assai m’amasti; cioè amasti me tu, Dante, et avesti bene onde; cioè et avesti ben cagione d’amarmi. Chè s’io fussi giù stato; cioè imperò che, s’io fussi stato nel mondo e vissuto, io ti mostrava; cioè a te Dante, Di mio amor più oltre che le fronde; cioè io t’arei mostrato lo mio amore coi benefici e non co le parole. Come sono differenti li frutti da le foglie: imperò li frutti sono ad utilità e le fronde a bellezza; così le benivole parole sono a bellezza e li benifici sono ad utilità. Questo beato spirito, che l’autore àe indutto qui a parlare, fu Carlo Martello prenze 1 di Taranto, figliuolo del re Carlo Zoppo primogenito e suo fratello, e del re Roberto. Questo Carlo Martello poi fu re d’Ungaria, et a lui, siccome secondo al primogenito, s’appartenea lo reame di Sicilia e di Puglia e di Calavria, el contado di Provenza, lo ducato di Durazzo, lo principato di Taranto, le quali occupò Roberto dopo la coronazione sua; e quel tempo che visse in sì fatto stato fu pogo, et in quello che morì l’autore era intrato in sua grazia, sicchè non seguitte frutto per la morte subita. E però l’autore l’à introdutto, per dire della sua virtù e per introducere lui a parlare del re Roberto; e per la virtù che vidde in lui di carità e d’amore, lo finge beato nel corpo di Venere. Seguita.
C. VIII — v. 58-75. In questi sei ternari lo nostro autore finge come lo prefato spirito, introdutto da lui a parlare, si manifesta ora per lo titulo della signoria che ebbe nel mondo, poichè s’ebbe manifestato per la virtù della carità che ebbe mentre che visse, dicendo. Quella sinistra riva; cioè quella ripa 2 ch’è da mano sinistra, che;