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c a n t o   viii. 249   

76E, se mio frate questo antivedesse,
     L’avara povertà di Catalogna
     Già fuggerea, perchè noll’ offendesse:1
79Che veramente proveder bisogna
     Per lui o per altrui sì, ch’ a sua barca
     Carcata più di carco non si pogna.
82La sua natura che di larga parca
     Discese, avria mestier di tal milizia
     Che non curasse di mettere in arca.
85Però ch’ io credo che l’ alta letizia
     Che ’l tuo parlar m’infonde, signor mio,
     Là v’ ogni ben si termina e s’inizia,
88Per te si veggia, come la veggio io,
     Grata m’ è più, et anco questo ò caro,
     Perchè ’l discerni rimirando in Dio.
91Fatto m’ài lieto, e così mi fa chiaro,
     Poi che parlando a dubitar m’ ài mosso,
     Come uscir può di dolce seme amaro.
94Quest’io a lui; et elli a me: S’io posso
     Mostrarti un vero a quel che ne dimandi,
     Terrai ’l viso come tieni ’l dosso.
97Lo Ben, che tutto ’l regno che tu scandi,
     Volge e contenta, fa esser virtute
     Sua providenzia in questi corpi grandi;2
100E non pur le nature provedute
     Son ne la mente ch’è da sè perfetta;3
     Ma esse insieme co la lor salute.
103Perchè quantunche questo arco saetta4
     Disposto cade a proveduto fine,
     Sì come cosa in suo segno diretta.

  1. v. 78. C. A. fuggiria, perche non gli
  2. v. 99. C. A. Sua provedenza
  3. v. 101. C. A. Sono in la
  4. v. 103. C. A. quantunque