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[v. 76-84] | c o m m e n t o | 237 |
E queste sette conclusioni sono sì manifeste, che non ànno bisogno di pruova; e premisse queste, porrà di sotto la dichiaragione del dubio nella sequente lezione. E qui finisce la prima lezione di questo canto vii, et incominciasi la seconda.
Di tutte queste cose ec. Questa è la seconda lezione del vii canto, ne la quale l’autore finge che Beatrice dichiarasse lo dubbio proposto di sopra; cioè perchè a Dio piacque lo modo de la redenzione umana fatta per la morte di Cristo più che altro, premisse alquante conclusioni dichiarate nella fine della lezione passata. E dividesi questa lezione in parti sette: imperò che prima, argomentando pone la maggiore; ne la seconda parte adiunge la minore, conchiudendo due modi, et incominciasi quine: Vostra, natura ec.; nella terza toglie l’uno di quegli due modi conchiusi, et adiunge lo terzo modo che Iddio elesse, et incominciasi quine: Non potea l’omo ec.; nella quarta parte finge l’autore che Beatrice commendasse questo modo, et incominciasi quine: Nè tra l’ultima notte ec.; nella quinta finge che Beatrice tornasse a dichiarare una obiezione, che nasce da alcuna delle conclusioni poste nella fine dell’altra lezione, et incominciasi quine: Or per impierti ec.; nella sesta parte finge che procedesse oltra nel suo parlare a dichiarare lo dubbio e la obiezione, et incominciasi quine: Li Angeli, frate ec.; nella settima et ultima finge che Beatrice, estendendo lo suo ragionare, ponesse una conclusione corollaria della nostra resurrezione, et incominciasi quine: E quinci puoi ec. Divisa adunqua la lezione, debbiamo vedere lo testo coll’esposizioni litterali, allegoriche e morali.
C. VII — v. 76-84. In questi tre ternari lo nostro autore finge che Beatrice, continuando lo suo ragionamento, poste le conclusioni dette di sopra che dimostrano l’uomo fatto da Dio, quanto all’anima, perpetuo, libero, splendido; cioè capace della grazia dello Spirito Santo e per consequente a la similitudine et imagine sua, e per questo più piacergli che l’altre cose fatte da Dio per mezzo delle seconde cagioni, pone ora la sua argomentazione che è questa: Niuna cosa può piacere a Dio, se non in quella perfezione ch’elli l’àe creata; e l’uomo per lo peccato cadde dalla perfezione sua nella quale fu creato, adunqua convenia ritornare nella sua perfezione per qualche modo, acciò che piacesse a Dio. La maggiore è vera: imperò che Iddio è sommo bene e non vuole se non le cose buone, e non fa se non bene, addunqua egli vuole le cose quali elli le fa. E la minore si prova per questo solo: Lo peccato fa l’uomo dissimigliante a Dio, dunqua per lo peccato cadde l’uomo da la perfezione sua, dunqua è vera la conclusione. E li modi erano tre; cioè l’uno di sola misericordia, cioè che Iddio avesse per sua cortesia perdonato a l’uomo; lo secondo era di sola iustizia, cioè che chi