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c o m m e n t o |
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girare, cioè contìnuamente tenere la sua voluntà a Dio. E così l’anime beate vanno colla sua voluntà a Dio, e questo è lo girare che l’autore finge. E, quasi velocissima faville; cioè e le dette anime, che erano restate a vedermi, partite poi da me come correnti faville; imperò che per la distanzia quelle, che parevano prima splendori grandi, parveno poi faville, Mi si velar; cioè mi si copersono, di subita distanza; cioè di subita lungezza: la lungezza subita fu cagione che io nolle viddi più: imperò che la vista àe terminate le sue potenzie; e per questo vuole intendere che uscitte della fantasia questa materia, et intese ad altra. Io dubitava; ecco come il pensieri dell’autore si trasmutò; dice di sè ch’egli dubitava: imperò che alcuno dubbio gli era nella mente per le cose udite, e dicea; cioè tra me stesso, dice l’autore: Dille, dille; cioè dì a lei, dì a lei, cioè a Beatrice, lo dubbio tuo, s’intende, Fra me; cioè dentro da me, dille; cioè dì a lei, dicea; io Dante; et àe usato quello colore che si chiama conduplicazione, che si fa a mostrare l’ardente desiderio, come usa ora l’autore, a la mia donna; ecco che dichiara di cui elli intendeva, quando diceva a lei, cioè alla mia donna, cioè a Beatrice, la quale elli àe preso per donna e per guidatrice in questa cantica. Che; cioè la quale, mi disseta; cioè mi sazia la sete, cioè lo desiderio del sapere, co le dolci stille; cioè colle dolci gocciole che significano la verità, la quale è dolce a gustare a chi la desidera. Ma quella riverenzia; cioè ma quello timore, ch’io avea di mostrare ch’io mancasse l’onore verso di lei; riverenzia non è altro che temere di mancare l’onore che si dè avere al maggiore, che; cioè la quale reverenzia, s’indonna; cioè diventa donna, Di tutto me; perchè tutto m’era dato al suo onore, dice l’autore, pur per he e per ice; cioè per Beatrice: pone lo nostro autore la prima sillaba con parte delle due ultime, a significare tutto ’l nome, facendo sincopa dell’altro e per poterlo mettere in verso; et alla sentenzia vuole dire che la riverenzia ch’elli portava a Beatrice, pur; cioè solamente per lei non per altra cagione, quasi volesse dire che quella riverenzia che signoreggiava lui solamente per Beatrice: imperò che nessuna altra cosa l’avea fatto riverente e timido del dimandare, se non la santa Scrittura che dice: Non 1 plus sapere quam oportet sapere, sì ch’egli si ritemeva; e però dice Mi richinava; giù la faccia e non mi lassava levarla su a dimandare, come fa colui che ardisce, come l’om; cioè come si richina l’omo, ch’assonna; cioè lo quale s’addormenta: imperò che chi assonna, china giù lo capo. E per questo dimostra l’atto di colui che àe pensieri e desiderio d’avere cosa che non n’à, che sta col capo chinato e pensa come la possa avere.
- ↑ Nolite sapere plusquam opporteat