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p a r a d i s o vi. |
[v. 43-54] |
Decio l’esercito non reggere l’impeto dei Latini; unde Decio chiamò Marco Valerio che era publico sacerdote del popolo di Roma, e disse che dicesse le parole che si convenivano a tale atto. Et allora lo pontifice comandò a Decio ch’elli si vestisse la pretesta e velassesi lo capo, e tenesse colla sua mano il manto, e la lancia sotto li piedi suo’ si mettesse e dicesse le infrascritte parole: Iano, Iove, Marte, Padre Quirino, Bellona, Lari, dii novensili, dii indigeti, iddii de’ quali è la podestà nostra e dei nimici, e dii infernali, io vi prego et onoro e dimandovi perdono e desidero che al popolo romano prosperiate la vittoria e la forza, e li nimici del popolo di Roma tormentiate con paura e morte; e così com’io v’ò chiamato per lo popolo romano e per tutto lo suo esercito, me e li nimici prometto e do alli idii dello inferno, et alla terra. E ditte queste parole, mandò li suoi officiali a nuuziare all’altro consule com’elli s’era dato per l’esercito; e cintosi armato, saltò a cavallo et in mezzo dei nimici si misse, e tanto paura intrò allora nei nimici che tutti incominciorno a fuggire. E morto che fu Decio, lo cavallo suo dovunqua andava, spaventava li nimici, e davansi in fuga; e come perveniano a luogo dove era morto Decio, non si potevano tenere che non spaventasseno, e così furno sconfitti li Latini, e li Romani ebbono la vittoria. L’altro Decio; cioè lo figliuolo del soprascritto Decio, essendo consule con Quinzio Fabio, andati contra l’esercito dei Franceschi e dei Sanniti e dei Toscani et Umbri a Sentino , che era in Sannio, et accampatosi ordinorno di combattere coi nimici; e venutosi a la battaglia, vedendo Publio Decio la ferocità dei Franceschi e degli altri nimici, vedendo fuggire li suoi arricordandosi del padre che s’era dato per lo popolo di Roma, venneli in cuore di fare lo simile, e mandò li suoi officiali a Fabio notificandoli la sua morte. E datosi a li iddii per lo modo che aveva fatto lo padre, messosi fra i nimici, li spaventò sì colla sua morte che tutti li misse in fuga, et allora furno li Romani vincitori e furno morti dei nimici 25 mila et 8 mila presi, e dello esercito di Publio Decio morti 7 mila e dello esercito di Fabio mille, secondo che scrive Tito Livio nella detta decade lib. x. e Fabi; ora finge l’autore che l’detto spirito; cioè Iustiniani, nominasse ancora li Fabi, li quali furno in Roma grande famiglia, e furno de’ patrizi e trovornosi trecento sei uomini d’arme; et avendo guerra li Romani coi Veienti, essendo uno di loro consule, offerse al senato che la sua famiglia voleva fare la guerra coi Veientani e che volevano levare quella spesa al comune; e conceduto loro, uscitton fuora a campo et iunti al fiume Cremera s’accamporno e feciono molte scorrerie in sul veientano 1 e menornone grandissime prede, et anco assai
- ↑ In sul veientano, modo ellittico ove si à da supplire territorio, terreno. E.