16Insino a qui l’un giugo di Parnaso1
Assai mi fu; ma or con ambedue
M’è uopo entrar ne l’aringo rimaso.2
19Entra nel petto mio, e spira tue,
Sì come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.
22O divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che l’ombra del beato regno
Segnata nel mio capo manifesti,
25Vedra’mi al piè del tuo diletto legno,
Venire e coronarmi delle foglie,
Che la materia e tu mi farai degno.
28Sì rade volte, o Padre, se ne coglie,
Per triunfare o Cesari o poeta,
(Colpa e vergogna delle umane voglie)
31Che parturir letizia in su la lieta
Delfica deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sè asseta.
34Poca favilla gran fiamma segonda:3
Forsi di rieto a me con millior voci4
Si pregherà, perchè Cirra risponda.
37Surge ai mortali da diverse foci
La lucerna del mondo; ma da quella,
Che quattro cerchi iunge con tre croci,
40Con miglior corso, e con migliore stella
Esce coniunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
43Fatto avea di là mane, e di qua sera5
Tal foce quasi, e tutto era lì bianco
Quello emisperio, e l’altra parte nera,
- ↑ v. 16. C. M. giogo
- ↑ v. 18. C. A. intrar
- ↑ v. 34. C. M. seconda
- ↑ v. 35. C. M. forse
- ↑ v. 43. C. M. Fatto aria