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   [v. 133-142] c o m m e n t o 125

mi guardò; cioè guardò me Dante, co li occhi pieni Di faville d’amor; cioè colli occhi pieni di carità, con sì divini; cioè sì pieni di divinità: che siano 1 li occhi di Beatrice, è stato detto di sopra; cioè o la ragione o lo intelletto di coloro che la scrissono e trovornola, o l’esposizione litterale et allegorica che è in essa; li quali due occhi pieni di carità e di divinità fanno inamorare sì chi guarda in essi, che la potenzia 2 intellettiva umana non basta a guardare in essa, anco conviene che ceda e dia le reni; e però dice: Che, volta mia virtù; cioè che la mia virtù intellettiva volta in altra parte, diede le reni; cioè volsimi alle reni a lei, e co la faccia in verso la faccia opposita in verso l’altra parte opposita. E quasi; cioè presso, me perdei; cioè perdetti me medesimo, colli occhi chini; cioè colli occhi bassi alla terra. Per questo si dè intendere ch’elli, vedendo l’altezza della sapienzia partendosi dalla sua considerazione 3 delle cose terrene, fu quasi escito del primo pensieri ch’era perdere sè; e lo diventare più splendida Beatrice non è altro, secondo l’allegorico intelletto, se non che quanto l’omo più sè esercita nella santa Scrittura, tanto più alti intendimenti n’apprende e tanto li pare più alta e più bella; e tanto crescere vede lo lume del suo intelletto l’omo quanto più in essa sè esercita et essa studia, e vede in lei sì alti intendimenti che lo intelletto umano non li può apprendere, et allora dare li conviene le reni et essere vinto da loro, se grazia nuova non viene nella mente da Dio, la quale illumini lo intelletto; e però l’autore àe parlato nella sopra detta forma. E qui finisce lo canto quarto, et incominciasi lo quinto.

  1. C. M. che significhino li
  2. C. M. potenzia vivisa cioè intellettiva
  3. C. M. considerazione e descendendo alla considerazione delle cose

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