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[v. 106-117] | c o m m e n t o | 121 |
Erifile sua donna lo insegnò, per avere l’ornamento della mollie di Polinice che aveva nome Argia 1; per la qual cosa Amfiarao indegnato quando fu a Tebe, vedendo che dovea morire si fe promettere ad Almeon suo filliuolo, e d’Erifile, ch’elli farebbe vendette della madre che avea appalesato Amfiarao per lo adornamento dell’oro ch’ella ebbe; per la qual cosa elli dovea morire: imperò ch’elli avea veduto che, s’elli andava a Tebe, la terra si dovea aprire et inghiottirlo, e così addivenne. Unde Almeon, per osservare la promessa che avea fatto al padre, quando fu tornato da Tebe uccise Erifile sua madre mal volentieri; ma per che l’avea promesso non volse che fallisse la sua promessa, sicchè Almeon per non essere spietato contra al padre, fu spietato contra la madre, e così addiviene spesse volte che l’uomo per fuggire lo periculo ch’elli schifa, quello che non dee fa contro la sua vollia; e così arrecandolo a proposito, Gostanza per cessare il periculo, stava nel matrimonio contra sua vollia, che sarebbe volsuta istare inanti nel monasterio, e però dice lo testo: Spesse fiate; cioè spesse volte, già, frate; parla Beatrice a Dante, e però lo chiama frate che è nome di carità, adivenne; cioè questo che ti dirò, Che per fuggir perillio; cioè alcuno pericolo, contra grato; cioè contra suo piacere e volere assoluto, Si fe; cioè da alcuno omo, di quel, che far non si convenne; e che non arebbe volsuto fare, avendo potuto per altro modo schifare lo periculo. Et arreca l’esemplo: Come Almeone; filliuolo del re Amfiarao, si fe spietato; cioè sè contra la madre sua Erifile, Per non perder pietà 2; la quale arebbe perduta, se non avesse osservato la promessa che avea fatto al padre, cioè Amfiarao, cioè d’uccidere Erifile sua madre che avea 3 dato lo marito, si può dire, per l’adornamento dell’oro per sua vendetta, che; cioè lo quale Almeon, spense; cioè uccise, la propria madre; cioè Erifile sua madre, di ciò; cioè d’uccidere la sua madre, pregato Dal padre suo; cioè da Amfiarao.
C. IV — v. 106-117. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Beatrice, continuando lo suo parlare, tolse via lo dubbio dichiarato per la conclusione posta di sopra che dimostrò; come può essere che l’omo faccia contra sua vollia quel che non dè fare: imperò che nessuno fa quel che non vuole, dunqua parrebbe che volere 4 e non volere potesse stare insieme che non può essere: imperò che è contradizione. Et ad 5 intendere questo debbiamo sapere che sono due volontà; l’una assoluta, la quale non può volere lo male; e l’altra respettiva, la qual vuole minor male per cessare lo maggiore: e