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P R O E M I O
Impaurito della altezza della materia e della sottigliezza
della forma dell’ultima cantica de la comedia del poeta
vulgare Dante Allighieri fiorentino, io Francesco da Buti 1
alcuno tempo stetti in pensieri di perdonare alla fatica,
considerata la debiltà 2 del mio povero ingegno, contento
d’aver veduto come si dè uscire del peccato colle virtù politiche e morali; e come, colle virtù purgatorie, purgata la
colpa, si dè venire allo stato della innocenzia, ve 3 sono le
virtù de l’animo purgato. Ma non consentendomi la coscienzia di scontentare li auditori; cioè li miei maggiori
generalissimi 4 e carissimi cittadini e li forestieri che di ciò
m’aveano pregato, et ispronantemi la vergogna di lassare
la mia 5 imperfetta opera incominciata, disideroso ancora
di vedere le virtù dell’animo purgato anco contemplative 6
dell’ascendimento a la beata et eterna vita, confidandomi
della grazia di Dio la quale m’ à prevenuto et illuminato et aiutando menato già al fine delle due cantiche; cioè prima
e seconda, presi ardire a l’ultimo d’intrare alla lettura e scrittura della terza et ultima cantica, che comunemente da vulgari si chiama Paradiso, alla detta grazia ricorrendo e
- ↑ C. M. da Buiti, cittadino di Pisa, alcuno
- ↑ C. M. la povertà
- ↑ C. M. dove sono — . Ve per dove. E.
- ↑ C. M. venerabilissimi e
- ↑ C. M. lassare imperfetta l’
- ↑ C. M. contemplativo
Par. T. III. | 1 |