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c a n t o iv. | 101 |
127Posasi ’n esso, come fera in lustra,
Tosto che iunto l’ à; et iunger pollo:1 2
Se non, ciascun disio serebbe frustra.3
130Nasce per quello a guisa di rampollo
A piè del vero il dubbio; et è Natura,
Ch’ al sommo pinge noi di collo in collo.4
133Questo m’invita, questo mi sigura5
Con riverenzia, donna, a dimandarvi6
D’ un’ altra verità, che m’ è oscura.
136Io vo saper, se l’ om può sodisfarvi
Ai voti manchi sì con altri beni,
Ch’ a la vostra statera non sian parvi.
139Beatrice mi guardò co li occhi pieni
Di faville d’ amor, con sì divini,
Che, volta mia virtù, diede le reni,
142E quasi me perdei colli occhi chini.
- ↑ v. 128. giunto l’ à; e giunger puollo:
- ↑ v. 128. Pollo; po quello o ciò. In antico si disse po; ma oggi si accetta solo può o puote. E.
- ↑ v. 129. C. A. ogni disio sarebbe
- ↑ v. 132. Collo; colle, per una certa ragione d’ uniformità ridotto alla desinenza in o, come confessoro e confessore, mantaco e mantace. E.
- ↑ v. 133. C. A. mi assicura
- ↑ v. 134. C. A. con revenza
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C O M M E N T O
Intra du’ cibi distanti, e moventi; ec. In questo quarto canto lo
nostro autore finge come per le cose dette di sopra elli era intrato in
due dubbi li quali equalmente lo movevano, e per ciò non sapeva
da quale incominciare; ma Beatrice cheli vidde quelli dubbi nella
mente, lieli solve amenduni 1. E però questo canto si divide in due
parti: imperò che prima finge come, stando equalmente desideroso
di dichiararsi di due dubbi e non sapendo 2 da quale dovesse incominciare: tanto era lo desiderio equale, Beatrice rincominciò a par-