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c o m m e n t o |
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prossimo, e godiamone come del nostro; e però la voluntà nostra è riposata, che; cioè la qual virtù, fa volerne; cioè noi volere, Sol; cioè solamente, quel ch’avemo; cioè noi beati, e d’altro non ci asseta; cioè e d’altro non ci fa desiderosi, se non di quel che noi abbiano 1. Se desiassemo esser più superne; cioè se noi desiderassimo d’essere in più alto grado che noi non siamo, Foran discordi li nostri disiri; cioè sarebbono discordevoli li nostri desidèri, Dal voler di Colui; cioè d’Iddio, che; cioè lo quale, qui; cioè in questo luogo, ne cerne; cioè iudica noi che debiamo stare. Che; cioè la qual cosa, cioè che’ nostri voleri si discordino dal volere d’Iddio, vedrai non capere; cioè tu, Dante, in questi giri; cioè cieli che si muoveno in giro, S’ esser; cioè se essere, in carità 2 è qui; cioè in questo luogo, necesse; cioè necessario. A la dubitazione, che l’autore à mosso di sopra; cioè se l’anime che sono in vita eterna in diversi gradi secondo diversi meriti, desiderano maggior grado che l’abbiano, si può rispondere che non per questa ragione l’ultima felicità dell’anima è la beatifica visione de la Divina Essenzia: essa contenta ogni desiderio, dunqua non si può desiderare altro che l’anima abbia. La maggiore è vera, che non è altro vita eterna che vedere Iddio; la seconda anco beati, e d’altro non ci asseta; cioè e d’altro non ci fa desiderosi, se non di quello che noi abbiamo è vera: imperò che, se non contentasse ogni desiderio, non sarebbe perfetta felicità; dunqua seguita che ogni anima sia contenta e non desideri più. E se avviene che una abbia maggior felicità che l’altra, questo è da la parte de la capacità dell’anima, e da la parte del donatore sì come de’ vagelli grandi e picculi che, posti alla fonte che sempre versa, ciascuno s’ empie quanto ne cape, benchè l’uno abbia maggior tenuta che l’altro. Ma lo nostro autore, fingendo che Piccarda risponda, arreca una altra ragione: E se la sua natura; cioè di questo luogo, ben rimiri; cioè bene consideri: prova che discordarsi dal volere di Dio non è possibile all’anime beate che sono in cielo, per questo
- ↑ Abbiano; ora abbiamo, e presso gli antichi scontrasi tale desinenza foggiata su quella de’ Trovatori. E.
- ↑ Quel peregrino ingegno di Torquato Tasso, il quale pure con grande studio ed amore avea cercato il divino volume dell’ Alighieri, nel suo Discorso della Virtù eroica e della Carità, ricordando questi versi, così la ragiona « Carità propriamente si dice quando si distende nel prossimo non più o meno efficacemente di quel che l’ uomo creda che sia volontà d’ Iddio; e quando l’amor d’ Iddio è freno o stimolo dell’ amore, che a sè stesso o al prossimo si porta. E perciò del cielo della Luna contenta era Costanza, madre di Federico imperatore, la quale per difetto di voto non adempito, ivi aveva la sua sede, che sebbene non aveva tutta quella gloria della quale godevano gli altri ne’ cieli superiori; tanto nondimeno ne aveva quanto a Dio piaceva di compartirgliene, ed essa più non poteva riceverne » E.