Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Danti:. /• LXXXII DOTTRINE POLITICHE DI DANTE. geste dell'ammirabile uomo (che, insieme con una istituzione altamente religiosa, fondava una società altamente civile, e, chi ben pensa, tutrice della popolare dignità), scende a mor- dere i vizii della degenerante famiglia. Non le ricchezze adoprafe a bene malediceva il Poeta, non la sordida e turpe inopia lodava. Ma perchè ne' reli- giosi principalmente l'abuso della ricchezza e della potenza è scandalo grave e pericolo; perciò contro le ricchezze am- bizione de' preti e' s'avventa, e ad esse imputa le calamità dell'Italia e del mondo. E chiaramente lo fa dire a Marco Lombardo; il quale, dolendosi che l'arco dell'umana volon- tà non è più teso alle nobili cose, e interrogato da Dante perché sia il mondo coperto e gravido di malizia, rispon- de, questo non essere influsso reo di pianeti prepotenti; che, se'l mondo si svia, negli uomini è la cagione; e que- sta è l'avara abbiettezza di taluni collocati nell'alto d'ec- clesiastiche dignità. La libertà morale e^li pone fondamen- to della civile, negando che i mali degli uomini e de' po- poli siano cieca necessità. In un luogo del Convivio rincon- triamo i concetti, e talvolta le parole stesse dette nel Pur- gatorio da Marco: e da tale corrispondenza raccogliamo che questa idea delle cose umane soverchio desiderate da quelli che meno desiderarle dovrebbero, sempre sotto forme varie s'aggirava ne' pensieri di Dante. , Siccome l'orgoglio diabolico, così all'umana avarizia egli dà compagna l'invidia; e dice, l'invidia avere dipartita d'inferno primieramente la lupa. E veramente l'avaro non può non essere invido; e l'invido è una razza d'avaro, è un superbo vigliacco: funesta fratellanza e terribile mari- taggio d'iniquità. Col nome d'invidia intendeva significare il Poeta il peccato più direttamente contrario all'amore; perchè, siccome amore è voler bene, invidia è non solo non volere, ma non poter vedere, il ben del fratello. E sicco- me all'invidia, così all'avarizia e alla superbia, è contrap- posto l'amore; vizii pertanto insociali tutti e tre, più che altri, e di libertà distruttori. Per meglio vedere come Dan- te credesse collegata l'invidia con l'avarizia, udite laddove, degl' invidi ragionando, esclama: « gente umana, perchè poni tu il cuore in beni che non si possono godere in con- sorzio , e , se r uomo li vuol per sé solo, conviene che agli altri tutti l'uso promiscuo ne interdica'!'» La brama de' beni esterni reputava egli nemica alla vera uguaglianza; non come la possessione della virtù e dell'ingegno, che la vera aristocrazia costituiscono, perchè né accomunare si possono senza merito a tutti, nò di forza restringere in pochi; son beni per natura loro diffusivi di sé, e quanto più dilfusi, altrettanto più giovevoli a coloro da' quali si partono. I^a M