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XLVI LE RIME. L' amore di patria, l' amore di donna, V amor degli studi, r amore della religione in cui nacque, riempievano non alter- namente ma tutti insieme 1' anima dell' Allighieri: non la- sciavano in essa quel vano eh' è più tormentoso dell'acuto dolore. Dante credeva nella gloria della sua terra, credeva nel vero e nella potenza propria a comprenderlo e a ren- derlo, nella donna credeva, credeva in Dio. Senza fede non è né amore né sapienza né patria: la fede in ogni cosa grande e bella fece lui grande e lo ajutò a rappresentar la bellezza. Cittadino, e' non era posseduto dall' cimore come da furia indomita, né occupato come da puerile trastullo: cittadino, e' volgeva gli studi ad utile intento, e aguzzava l'ingegno com'arme che deve un giorno servire a difesa: cittadino, le verità religiose e' non faceva nemiche alle ci- vili utilità , e la divina legge poneva fondamento all' u- mana. Amante, 1' affetto a una donna devoto e' diffondeva, senza avvedersene quasi, ad ogni uomo, ad ogni cosa non indegna d* affetto : amante, fin gli studi più severi allegrava d'impeti animosi e d'imagini liete: amante, la religione ri- guardava sovente come fonte d' amore , non come fomite d'odio. Religioso, nobilitava con quegli alti pensieri i ci- vili diritti, gli studi, gli affetti, e di questi sovente tempe- rava r eccesso. Scienziato, faceva razionale V ossequio della pietà, faceva contemplante l'amore, e le patrie cose rin- grandiva con le antiche memorie, e moltiplicava a sé le ragioni e i modi d'essere leal cittadino. Le quattro doti insomma, si giovavano anziché contra- riarsi a vicenda; e, siccome da quattro ^ran parti, se ne formava rimanine dell'uomo intero. A noi moderni le quat- tro cose appariscono separate , e quasi inconciliabili : l' a- more ci chiude in noi stessi , e ci fa strani alle calamità della patria; ci fa impazienti dello studio, impazienti so- vente di credere e ai soffrire Gli studi ci fanno duri e