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CANTO XXVI. 507 ne:Fraus volpeculae,vis leonis videtur (i). Albertano : la frode è sic- come di volpe, la forza siccome di lione. Dante non poteva amare in Guido, benché gliibellino, la straj^e frodolenta de' Francesi in Faenza, e altre arti d' astuzia rea. Poi l'essersi lui riconciliato a Bonifazio faceva dimenticare al Poeta que' fatti ove Guido fu leone, non vol- pe 2 . Or ecco come fe^e esflì strasfe desìi assedian!i francesi. Entravan essi da una porta della città: egli (tale era il patto) usciva dall'al- tra co' suoi: i soldati francesi convitati a lauta cena, Guido ritornato, trucidò tranne venti. Nel Convivio, parlando di Guido: Certo il cavalier Lanci alotto non volle entrare colle vele alte, né il nobilissimo nostro latino Guido Mun- tefeltrano. Bene questi nobili calarono le vele delle mondane opera- zioni. Nessuno storico appone a Guido l'iniquo couìiiglio. Certo é che Bonifazio tìngendo perdonare ai Colonna, li trasse a sé, fece spianare il temuto castello, e riedificare Preneste in piano; certo é che fu tempo in ui Guido si riconciliò a Bonifazio. Ma questi non aveva di biso- gno de'consigli di lui. Forse Dante su qualche rumore di fama o sulla possibilità della cosa fondò il suo trovato. Nel Convivio d'al'ra parte e' loda con magnifiche parole gli ultimi anni di Guido, e il Convivio pare scritto nel 4308. questo Canto era già composto, ed egli Io volle nel Convivio espiare; o piuttosto già scritto il Convivio, nuove voci e le irò nuove gli avranno consigliata la poetica dannazione. Il seguente è il Canto delle contradizloni o vere o apparenti che siano. Detto ch*^ il cuore de' tiranni di Romagna è sempre in guerra fraterna, nomina i Polentani. Quand' e' scriveva non aveva con Guido da Polenta lesnme alcuno; né il Poeta era uomo da perdonargli que' suoi portamenti di signora incerto e cupido, né la cacciata eh' e' fe- cero deuil Anastagi e de'Traversari lodali di Dnnte (3). Ma i Polen- tani anch' e-;sl per opera di Martino IV perdettero la signoria, e nel l'290 la riebbero, e un arcivescovo dopo cinque armi li ricacciava, poi nel 4300 e' tenevano Cervia, nonf^he Ravenna. L'arme loro era un'a- quila mezzo bianca in campo azzurro, mezzo rossa in campo d'oro: avevano il nome da Polenta, piccolo castello prossimo a Brettinoro. Del resto, guardando ai modi la si cova e ricopre co' suoi vanni (4), si vede che Dante li voleva distinti da que' delle branche verdi, da' Mastini che facevano de' denti succhio, e dal leoncello incostante. Poi tiranno non ha ■sempre mal senso; e il Villani chiama tiranno Castruc- cio, e ne dice lodi. Con un Bernardino da Polenta, guelfo, combatto contr' Arezzo In Cnmpaldlno il Poeta nel 4289, e avrà da lui forse .sen'ita più per minuto la storia di Francesca. In questi due -ami, oltre alla similitudine lunga, ma elegantemente intrecciata d'imasini varie e belle, dico quella delle lucciole, ne ab- binmo due più lunshe del solito, e ambedue accennanti a vendetta ; che co>i pare la girasse allora al Poeta. L'una d'Eliseo che si vengiò cogli orsi: e poteva quella narrazione essere riguardata non come vendetta fatta di sé dal Profeta sopra ragazzi indolenti, ma come una voce della gla-^tizìa che Inseirna a' giovani non deri lere la vecchiaia, a' forti non accanirsi sul deboli, ai meglio dotati da natura non menare trionfo de'dlfetti altrui, a' destri a scendere non insultare a chi sale, agli umanamente furbi non dispregiare i divinamente ispirati. L'altra é del bue nel qual fu cacciato a rosolare chi primo lo fuse ; e ciò fu (i) De Off., I, i3. ch'altri vuole tanto ammirato da Dante. (2) La Cronaca estense (Marat., XV, (3) Purg . XIV, 377) «biama volpej quell’Ugoccione, (4) Inf, XXVII.