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XXX | VITA DI DANTE. |
donne, Piccarda, Costanza, Cunizza; di moderni al Poeta non hai che Romeo, il pellegrino; Carlo Martello, il figliuol di Carlo II di Puglia, che fu re d'Ungheria, e fin dal 1289 aveva in Firenze veduto Dante e postogli affetto; e il trisavolo Cacciaguida.
Le digressioni di storia e di scienza non mancano: nell'Inferno sola una, dell'origine della città di Mantova, forse, per rendere onore a Virgilio: così come quella del vigesimo secondo del Purgatorio, in memoria di Stazio, un de' poeti a Dante diletti. Ma nella seconda Cantica i tocchi geografici non son forse rapidi assai; nella terza, la dissertazione sulle macchie della luna è a pompa d'ingegno e di stile. Ma quello che nel diciottesimo del Purgatorio è toccato dell'amore, e nel Paradiso dell'inviolabilità del voto, del merito della Redenzione, delle facoltà innate, della sapienza di Salomone, de' giudizii temerarii, della predestinazione, della salute eterna de' Pagani, delle virtù teologiche, del peccato di Adamo, è parte essenziale del sacro poema.
Il Bettinelli, tranne poche terzine, il resto avrebbe buttato via; l'Alfieri, trascritto ogni cosa. I più si fermarono nell'Inferno; e non videro come le bellezze della seconda Cantica fossero più pure e più nuove, della terza meno continue ma più intense, e, dopo la Bibbia, le più alte cose che si siano cantate mai. Gli ammiratori lo calunniarono: chi fa di lui un altro Maometto, chi un libero Muratore, chi un empio, chi un deputato francese de' meno regi. Il Ginguené volle la visione tutta quanta d'invenzione sua: e pochi, se questo fosse, l'avrebbero intesa, nessuno sentita. Il Monti lo loda del dire le cose per perifrasi, ch'è lode direttamente opposta di quella che gli dava a miglior diritto il Rousseau: il Perticari lo fa dispregiatore della sua lingua materna; gl'interpreti gli danno del loro mille astuzie ingegnosette, di quelle che son l'unica suppellettile de' mediocri. Ma Dante le tradizioni religiose, popolari, scientifiche del suo tempo ha con riverenza raccolte; ogni suo concetto informò del presente e del passato; mai rinnegò l'alta fede dei padri suoi: fin laddove egli fulmina i preti indegni, all'autorità che lor viene dall'alto, s'inchina. Le circonlocuzioni fugge e va quasi sempre per la via più spedita: e attesta egli stesso, che mai la rima lo trasse a dire altro da quel ch'ei voleva: e pone per norma dell'arte, che sempre la veste poetica dee coprire un'idea vera e viva. Della sua lingua materna nulla immutò; ma trascelse. E fu poeta grande, perchè seppe con vincoli possenti congiungere natura ed arte, meditazione e dottrina, il sentimento suo e l'italiano, il culto del bello e del retto, gli affetti veementi, e l'amore sereno dell'altissima verità.