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CANTO VII. ' 79 LA FORTUNA DI DANTE. Qui Dante ritratta una sentenza del Convivio, clie diceva: Nell'av- venimento (delle ricchezze) nulla giustizia distributiva risplendere, ma tutta iniquità quasi sempre: sentenza in parte vera, ma disperata se l'idea della Provvidenza divina non la rischiari. Così il Tasso con un giuoco di parole de' soliti chiamava la Fortuna cruda e cieca Dea.... Che è cieca e pur mi vede. Ma più cristianamente Virgilio (1): Me pulsum. patria, pelaqique extrcma sequentem. Fortuna omnipotens et ineluctahile fatum His posuere locis , matrisque egere tremenda Car- mentis Nymphce monita, et deus auctor Apollo; dove l'idea del fato è temperata da quella della Provvidenza divina, e dell'umana autorità santificata dall'amore e dal senno. Similmente il messo di Dio, dopo detto del non ricalcitrare a quella voglia A cui non puote il fin mai esser mozzo, accenna del non dar di cozzo ne' fati (2). E Aristotele: Nella materia è necessità^ ed è nella ragione il fine delle cose (3). — Ragioìie ha luogo nelle cose che sono o sempre o sovente: fortuna, in quelle che fuori di questo accadono (4). — L'elezione non essendo senza mente, la mente e la fortuna versano nel soggetto medesimo. Però le cagioni di ciò che segue fortuitamente non essendo d( finite, necessario è che le cose che vengono da fortuna siano occulte all'uma- no vedere (5). Dove ognun vede come nel verso Ched è occulto com'in erba l'angue si vengano a fondere e la sentenza del Filosofo e l'ima- gine del Poeta: latet anguis in herba (6). E il Filosofo stesso: Sono taluni a cui la fortuna pare che sia cagione delle cose, ma incognita all'umana mente. Quasi divino e ammirando nume (7). E qui cade a capello^ la sentenza d'Agostino: Quelle cause che diconsi fortuite non le diciamo nulle, ma latenti, e le rechiamo alla volontà o del vero Dio o d'altro spirito (8). Le quali ultime parole dimostrano co- me l'idea del commettere ad uno spirito il ministero de' beni mon- dani non sia capriccio del Poeta, ma abbia fondamento in religiose tradizioni; e come la spera che la Fortuna dantesca volge non sia già la volubile ruota della dea favolosa, ma veramente una sfera di lume celestiale: onde il passo del Canto XV dell'Inferno: Giri For- tuna la sua ruota Come le piace, e'I villan la sua marra, sia un modo proverbiale e non contradica all'imagine qui lungamente svol- ta, che é quasi la macchina d'un intero poema. E pero nella Monar- chia Dante stesso: Pirro la chiamava Signora, la qual causa noi meglio e più rettamente Previdenza divina appelliamo. Platone a ogni (1) Mn., Vili. - L'accoppiamento (3) Fis., 11, 9. delle due idee torna altrove. Nel canto (4) Fis., IL slesso: Si numina vestra Incolumem Pai" (5) Fis., IL lantamihi, si fata reservant. Nel VI: (6) Bue., HI. Fataque fnrtunasque virùm. (7) Fis., Il, A. (2) Inf., 9. (8) De Civ. Dei, V.