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518 INFERNO. — Canto XXXIV. Verso 137 a 139

     Tanto ch’io vidi delle cose belle
     Che porta il ciel, per un pertugio tondo,
E quindi uscimmo a riveder le stelle.




sono prive della beatitudine, che naturalmente dovrebbe avere la sua substanzia, ed elli sono ostinati in male, e di quel non si possono partire, sichè è continuo in violenzia.

Ancora lì è pena che non ponno speculare in che volesseno, ma sono così disposti con la beatitudine della cognizione, la quale è la prima substanzia che è Dio. Ancora lì è pena che sempre stanno in timore sì del presente come del futuro.

Hanno eziandio pena da parte del luogo dov’elli stanno, che naturalmente elli dovrebbeno secondo la sua natura stare ne’ cieli, là dove è chiarità e purità, ed elli stanno in quello buro dell’inferno, là dove l’aire è tenebroso e fetido, sichè stanno lie violentemente. Molte altre pene hanno, e però chi vuole sapere di quelle studi nella prima parte di san Tomaso in LXIV questione, dove per la dichiarazione di quel benedetto santo saprà interamente.

FINE DELLA PRIMA CANTICA




Nota. L’ Ottimo ha di Lana il proemio, salvo poche linee del principio, aggiungendovi altro che potea stare al fine di esso; poi le chiose ai v. 1, 4, 34, 70, 127 e 133. Ho notato che dove si tratta di scienza, in cui sia usato il calcolo, ricorre al Lana.