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504 INFERNO. — Canto XXXIIL Verso 107 a I26

     Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
     Veggendo la cagion che il fiato piove.
Ed un de’ tristi della fredda crosta
     Gridò a noi: O anime crudeli 110
     Tanto, che data v’è 1’ultima posta,
Levatemi dal viso i due veli;
     Sì ch’io sfoghi il dolor che il cor m’impregna,
     Un poco pria che il pianto si raggieli.
Perch’io a lui: Se vuoi ch’io ti sovvegna, 115
     Dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
     Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
Rispose adunque: Io son Frate Alberigo,
     Io son quel delle frutte del mal orto,
     Che qui riprendo dattero per figo. 120
O, dissi lui: Or se’ tu ancor morto?
     Ed egli a me: Come il mio corpo stea
      Nel mondo su, nulla scienzia porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
     Che spesse volte 1’ anima ci cade 125
     ch’Atropòs mossa le dèa.




come nello secondo della Metaura tratta lo Filosofo della Generazione dei venti, che vapore appreso in certa regione d’aire elli per calore o per moto si converte e genera vento.

V. 106. Qui risponde Virgilio che li occhi li solveranno il dubbio; quasi a dire : tosto vedrai la cagione che è violenta per 1’ ale di Lucifero.

109. Qui torna a sua novella, come appar nel testo.

111. Credette quello che Virgilio e Dante fosseno peccatori mandati in quello luogo a sostenervi pena.

115. Segue suo poema persuadendo lui per sapere suo nome. 118. Questi fu uno dei Manfredi di Faenza, il quale in sua vecchiezza si fe’ frate gaudente. Avea guerra con suoi consorti , pensò di tradirli e ucciderli; fece trattare ad alcuni amezzadori pure, e allargossi a farne ai ditti suoi consorti grandi patti, acciò che ottenesse suo intento: fu fatta questa pace. Questi disse che voleva rivedersi con loro , e fe’ un grande convito a uno desinare. Essendo tutti questi a desinare, circa la fine questo frate disse: vegna la frutta, allor la sua famiglia tutta armata funno sovra le tavole, e spezzonnoli tutti per pezzi. E d’allora in qua fu detto alle bòtte: frutta di frate Alberigo.

120. Cioè che qui ricevo pena per lo peccato da me commesso.

121. Qui poetizzando tocca 1’ autore la mala disposizione dei detti traditori, e dice che tanto elli dispiaceno alla giustizia di Dio, che sì tosto com’ elli hanno commesso tal peccato, elli sono quasi in miseria in inferno e dannati: e così per quelli che sono in quel