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XXXIII.



In questo capitolo intende l’autore nel principio d’esso di continuare suo poema e trattare ancora di quelli traditori, li quali hanno commesso nel mondo tradimento nel secondo modo: poi compie lo suo capitolo trattando di quelli del terzo modo, sì conm’è detto nella intenzione del precedente capitolo, dove chiaro appare la distinzione, che segue l’utore dei traditori nel suo poema. Punisceli tutti nel Cocito, il quale è fiume e acqua gelata; vero è che sicome lo terzo modo è più grave peccato che ’lsecondo, così la gelata più li punisce, sì come apparirà nella esposizione del testo, com’è maggior la pena, tanto è quel luogo più presso al centro del mondo, e più di lunghi dai cieli, dov’è la gloria.

La bocca sollevò dal fiero pasto
     Quel peccator, forbendola a’ capelli
     Del capo, ch’egli avea diretro guasto.
Poi cominciò: Tu vuoi che io rinovelli,
     Disperato dolor che il cor mi preme , 5
Già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
    Ma se le mie parole esser den seme,
    Che frutti infamia al traditor ch’io rodo.
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
     Io non so chi tu se’, né per che modo110
     Venuto sie quaggiù; ma fiorentino *
Mi sembri veramente, quand’io t’odo. *
     Tu dèi saper ch’io fui ’l conte Ugolino,
     E questi l’arcivescovo Ruggieri:


  1. V. IO. Parecchi Codici mettono sie, o sii nel v. 10 e siei, sei o se’ nell’ 1 1. Altri se’ nel 10 e sei dell’11. Credo che l’orecchio esiga sua parte, io scrivo la terzina col Riccard. laneo col Cortonese, coi bolognesi (meno BC), e coi quadro Codici citati dal Cassinese.




V. 1. Dice l’autore che poi ch’ebbe domandato costui chi era quello che tale rodimento facea della testa dell’altro, sicom’è detto nel precedente: e tu che mostri, dice che la bocca si levò1 da quel pasto fiero, e si la forbì ai capelli di quello teschio ch’elli rodea.

  1. Qui come nel testo di Dante varii sono i Codici in avere su levò, si levò sollevò. Al si levò del Comm. manca Ugolino.