Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/492

488 INFERNO. — Canto XXXII. Verso 16 a 25

Come noi fummo giù nel pozzo scuro
     Sotto i piè del gigante, assai più bassi,
     Ed io mirava ancora all’alto muro ,
Dicere udimmi: Guarda, come passi;
     Va sì, che tu non calchi con le piante 120
     Le teste de’ fratei miseri lassi.
Perch’io mi volsi, e vidimi davante
     E sotto i piedi un lago, che per gielo
     Avea di vetro e non d’acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo 25



  1. V. 20 La comune ha Fa che equivale Tienti a modo. La mia scelta è dei tre perugini e del Cortonese, e del Barloliniano.




care nostra donna, che presti loro grazia e possanza di potere esplicare con lingua quello, ch’hanno proposto nel suo cuore di palesare; fae invocazione l’autore alle Muse poeticamente parlando, che aiutino lo suo canto a profferirlo in sì bella locuzione e vero, che l’essere di quello luogo non sia diverso dalla sua prelazione.

V. 11. Questo Anfìone fu quello che prima fece la città di Tebe e murolla e pertratta Stazio ch’elli era sì pulito e grazioso parladore, che ogni persona, quando si murava quella cittade, v’andava lavorare, e altro prezzo non voleano se non udirlo parlare; e questa grazia avea Anfìone dalle Muse. Sichè l’autore dice: quelle Muse che dienno tanta grazia in parlare ad Anfione che murò Tebe, m’aiutino si ch’io esprima il vero di questo infernale e infimo luogo.

13. Qui esclama a quelli che sono in questa prima Caina e dice: plebe sovra l’altre creata, tu hai mala condizione imperquello che sei tanto aspra e cruda, che cotal rima è dura a potere esplicare. E soggiunge: el fosse meglio che qui, cioè in questo mondo dov’io recito la novella, elle fosseno state o pecore o cavretti giovenetti 1.

15. Sono li capretti saltanti, e sono dette zebe, perchè vanno zebellando cioè saltando.

16. Segue il poema mostrando come per Anteo furono posti nel pozzo, e com’era estratto pure a mirare lo luogo.

22. Perch’io mi volsi. Quasi a dire che quella voce lo rendè attento.

23. Sotto i piedi. Qui dice la condizione del luogo, il quale era sì ghiacciato, che sormontava ai termini della gelata, e trapassava in quelli del vetro; e però più sembianza avea di vetro che d’acqua gelata.

25. Qui aduce per esemplo la ghiacecata che fa un fiume, che ha nome la Danoia, il quale si parte pel mare della Tana, e descende

  1. Il M. ha cavretti giovinetti, cioè Zebe: ma non ha la chiosa successiva.