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458 INFERNO. — Canto XXIX. Verso 61 a 81

Che gli animali infino al picciol verme
     Cascaron tutti, e poi le genti antiche,
     Secondo che i poeti hanno per fermo,
Si ristorar di seme di formiche;
     Ch’era a veder per quella oscura valle 65
     Languir gli spirti per diverse biche.
Qual sovra il ventre, e qual sovra le spalle
     L’un dell’altro giacca, e qual carpone
     Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,70
     Guardando ed ascoltando gli ammalati,
     Che non potean levar le lor persone.
Io vidi due sedere a sè poggiati,
     Come a scaldar s’appoggia tegghia a tegghia,
     Dal capo a’ piè di schianze maculati: 75
E non vidi giammai menare stregghia
     A ragazzo aspettato dal signorso,1
     Nè da colui che mal volontier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
     Dell’unghie sovra sè per la gran rabbia 80
     Del pizzicor, che non ha più soccorso.


  1. V. 77. Quantunque l’uso unisca il possessivo al nome, e come signorso abbiamo signorto, mogliema, fratello e fratelmo ec. ec. tutta via è utile ricordare che il Landiano e i Cod. BS, BP, BV. la Vind. e il R del Lana e altri hanno Signor so. S’intende che vale suo Signore, padrone suo.




ciascuna formica diventasse uno uomo, ch’io riabitassi la mia cittade. A Juppiter ne venne compassione, e fece quelle diventare uomini, e furono quelli appellati populus mirmidonis a mirmix, græace, quæ est formica.

Or fa l'autore comparazione che quelli ammalati, che furono in Egina, non erano tanti nè sì diversi, come quelli che 'l vide, e però dice ch’era a veder per quella.

L’allegoria della predetta favola è che le persone di quella Egina erano molte corrotte a vizio di lussuria, per lo quale peccato Dio mandò corruzione d’aire e pestilenzie, per le quali la terra tutta si disabitò: in processo di tempo un re di quelle contrade la fece riabitare; raccogliendo in essa popolo di villani o di persone di picciola condizione, e così si riedificò.

V. 68. Carpone, cioè braccione overo in quattro.

73. Cioè che stava l'uno così appareggiato all’altro, come si scaldan le tegghie al fuoco, quando le massare fanno erbolati, torte, overo crostate in tegghia.

76. Qui fa comparazione, e chiaro è lo testo.